Vittoria (Sara Casu) ha quasi 10 anni. E se sua madre Tina (Valeria Golino) corrisponde da sempre al suo bisogno di sicurezza e protezione, comincia ora a trovare irresistibile quella sconosciuta vista in giro in paese, Angelica (Alba Rohrwacher), che sembra fare e dire tutto ciò che le passa per la testa. Pare giusto una versione un po' più grande di quelle compagne di scuola sgamate che la guardano con sufficienza, e se ne va in giro all'avventura sui monti, che a sua madre non piacciono e fanno pure paura. Angelica però è anche qualcosa che la ragazzina non sa: è la madre naturale che l'ha ceduta a Tina in cambio di un aiuto perenne in quella vita in cui non è mai riuscita bene a cavarsela, con il patto che sua figlia non l'avrebbe più frequentata.

Applaudito al Festival di Berlino 2018, dove la regista Laura Bispuri era già stata nel 2015 col suo primo lungometraggio Vergine giurata, Figlia mia è senza dubbio un film sulla maternità, ma soprattutto sull'evoluzione dell'identità. Non solo dei bambini ma anche degli adulti: è la crescita di Vittoria a imporre un cambiamento in tutte e tre le protagoniste, seguite da vicino camera a mano in lunghi piani sequenza, quasi a voler entrare dentro le loro teste. La Bispuri, autrice anche di soggetto e sceneggiatura assieme a Francesca Manieri, sembra citare i classici stereotipi femminili per poi burlarsene con grazia. Costruisce tre personaggi stratificati e compositi e li inserisce in un gioco di opposizioni e scambio delle parti, in cui risulta via via sempre più difficile capire chi stia facendo da madre a chi.

In un sistema di relazioni che inizialmente è sempre e solo a due, in cui la domanda sotterranea è se la ragazzina assomigli all'una oppure all'altra delle due madri, in cui c'è chi si prende sempre cura e chi è costantemente bisognoso d'accudimento, è Vittoria a allargare il cerchio e insegnare come ognuno sia uguale solo a se stesso. In fondo, di fronte a un misterioso buco nero nel terreno, c'è chi non ci si infilerebbe mai, chi si precipiterebbe dentro preso dall'illusione di trovarci chissà che, e chi valuterebbe con giudizio il da farsi.

Servite da una sceneggiatura molto attenta, seppur con qualche ingiustificato eccesso drammatico, Valeria Golino e Alba Rohrwacher danno ottima prova di sè: la prima intensa e misurata, la seconda magnetica e catalizzatrice sullo schermo, sempre più impressionante nella sua versatilità di interprete. Un plauso alla fotografia di Vladan Radovic, eccellente nel gestire lo scarto continuo fra scenari rurali decadenti e minimali e un paesaggio sardo sfolgorante anche nelle sue asprezze.