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“I villeggianti” feriti dalla vita
Che cosa pensare del matrimonio/farsa tra Elena e il marito Jean, dell’amore simil-adolescenziale tra il cuoco di famiglia e Nathalie, tanto estranea quanto invischiata nelle ambiguità del corso degli eventi? O delle occasionali apparizioni-visioni di Marcello, il fratello di Anna ed Elena, morto in circostanze dolorose (esattamente come Virginio Bruni Tedeschi, scomparso nel 2006) che intima alla sorella di non sviluppare il film che ha in progetto. E corpi scheggiati dal tempo, mutati in tracce di cellulite e rughe, volgari se paragonati alla giovinezza di una modella in lingerie su un pannello pubblicitario. Una riflessione, dunque, sul corpo che invecchia e sulla morte. “Cos’è la vita senza l’Amore / È come un albero che foglie non ha più” cantava Nada nel 1969, versi che qui Bruni Tedeschi e Golino convertono in inno, in un duetto dove la voce di entrambe fatica ad uscire, è uno sfogo, una confessione tra sorelle ferite dalla vita.
“Figlia mia” e il buco nero delle relazioni umane
Applaudito al Festival di Berlino 2018, dove la regista Laura Bispuri era già stata nel 2015 col suo primo lungometraggio Vergine giurata, Figlia mia è senza dubbio un film sulla maternità, ma soprattutto sull’evoluzione dell’identità. La Bispuri, autrice anche di soggetto e sceneggiatura assieme a Francesca Manieri, sembra citare i classici stereotipi femminili per poi burlarsene con grazia. Costruisce tre personaggi stratificati e compositi e li inserisce in un gioco di opposizioni e scambio delle parti, in cui risulta via via sempre più difficile capire chi stia facendo da madre a chi.