All’interno dell’intervista concessa a Truffaut nel 1962, Hitchcock racconta al collega una scena che desidererebbe girare: due uomini parlano, mentre alle loro spalle viene assemblata un’automobile. Quando la macchina è completa, uno dei due apre una portiera e osserva, stupito, un cadavere che rotola fuori dal nulla.
Nonostante il maestro del brivido non abbia mai girato la scena sopra citata, possiamo considerare Gli uccelli come l’opera più vicina ad una simile scelta tematica: l’assalto dei volatili che graffiano la pellicola a forza di strida, becchi e voli in picchiata resta un avvenimento impermeabile alla ragione, esattamente come la presenza di un cadavere in un’automobile appena costruita. La furia dei pennuti si sottrae cocciutamente ad ogni eziologia possibile, dalle parole incredule degli ornitologi alle visioni apocalittiche dei dunkhards, abbandonando lo spettatore alla mercé di un avvenimento terribile nella sua incomprensibilità. È proprio all’interno del reame dell’assurdo, sospeso tra il miracoloso e il diabolico, che la suspence si muta in angoscia, e il thriller in vero e proprio horror.
Gabbiani, passeri e corvi, rappresentati mediante effetti speciali non sempre invecchiati alla perfezione, costituiscono una minaccia capillare e organizzata, capaci di disporsi in schiere e raccogliersi pazientemente prima di investire, in una frenesia di piume, gli ignari esseri umani. Anche la grammatica del racconto si modifica in accordo col cambio di tono, e alcuni momenti del film vengono a fondare, inconsciamente, cliché futuri: la scena dell’assalto finale, con i protagonisti intenti a sbarrare porte e finestre del loro rifugio con assi di legno, anticipa di cinque anni le barricate di Romero in L’alba dei morti viventi, creando il blueprint per i climax di un intero sottogenere.
Sotto la patina di assurdo adagiata sulla narrazione si nascondono però, intatti, i più classici meccanismi hitchcockiani: al centro dell’intreccio troviamo una storia d’amore borghese dagli echi freudiani, con la donna sdoppiata tra il ruolo di amante imprevedibile e madre possessiva. Forse è proprio qui lo scollamento che rende la pellicola capace di ritagliarsi un posto nei ricordi dello spettatore: la storia d’amore di una coppia americana stereotipica, costretta a fronteggiare una piaga d’Egitto postmoderna.