Nel 1943, durante l'occupazione nazista di Praga, un ufficiale tedesco viene trovato morto durante una serata in un locale notturno. Tutti gli avventori che lì si trovavano vengono arrestati per rappresaglia e minacciati di fucilazione di massa a meno non si trovi il colpevole. Nonostante risulti ben presto chiaro che l'uomo si è suicidato, le autorità naziste decidono di occultare l'accaduto e di mandare tutti a morte, dopo aver realizzato che fra loro si trova anche il presidente del sindacato carbonifero Pressinger, le cui vaste ricchezze potrebbero diventare facile oggetto di appropriazione. La figlia di quest'ultimo, Milada, tenta di opporvisi potendo contare sull'appoggio della resistenza partigiana ceca, dato che fra gli arrestati si trova in incognito anche uno di loro.

Non è privo di spunti di interesse, questo Hostages di Frank Tuttle del 1943. Tratta dal romanzo omonimo di Stefan Heym dell'anno precedente, la sceneggiatura messa a punto da Lester Cole e Frank Butler si srotola con disinvoltura fra pause e fughe, fra un'accurata disamina dei machiavellici rapporti di potere e degli interessi personali, e colpi di scena spettacolari che portano avanti la macchina narrativa. Tuttle pare però indeciso fra il dramma e la farsa, e la coesione della pellicola ne risente, nonché la direzione degli attori.

Così, per un William Bendix la cui prova si confà quasi miracolosamente a tutti i registri, dando vita alle sorprese migliori del film (in tutti i sensi), si verificano al contrario sbandamenti del tono patemico fra le interpretazioni degli altri attori: Luise Rainer, che con Arturo de Córdova forma una coppia romantica più obbligata che appassionata, interpreta Milada col senso di tragedia di una figlia il cui padre potrà morire di lì a poche ore; Paul Lukas e Reinhold Schünzel invece dileggiano con brio i propri personaggi, dando vita a due autorità boriose ma ben poco autorevoli.

Hostages si potrebbe forse definire un caso in cui l'insieme è un po' peggio della somma delle sue parti: straziante e delicatissimo è l'ultimo saluto del padre alla tomba della figlia morta (forse la scena migliore del film), trionfante e liberatoria è l'esplosione delle bombe in giro per la città, sagace e spietata è l'ironia nei dialoghi fra i gerarchi nazisti nella loro superba vanagloria. E la battuta finale, pronunciata con pomposo sussiego, su come essi procedano per la retta via senza distinguere fra poveri e ricchi, sembra fare da glossa beffarda non solo al loro regime, ma alla discrezionalità del potere in toto.