Walter Hill fa parte di quella generazione di cineasti americani che ha contribuito in maniera decisiva a rivoluzionare il cinema d’azione a cavallo fra gli anni Settanta e Ottanta. Un testimone raccolto idealmente da colui che fu in un certo senso il suo maestro, Sam Peckinpah, uno tra i più significativi registi della New Hollywood per ciò che concerne il western e l’action – che sono, non a caso, anche i due generi prediletti e spesso mescolati dal Nostro, con insistiti riferimenti allo stile di Bloody Sam. Walter Hill iniziò infatti la carriera, prima ancora che come regista, come sceneggiatore, e il film che spicca maggiormente – e che più lo influenzò in seguito – è il crime Getaway! (1972), uno dei più importanti film di Sam Peckinpah e punto di riferimento essenziale per tutto il cinema d’azione moderno.

Dopo l’esordio un po’ in sordina nel 1975 con lo sportivo L’eroe della strada (una sorta di Rocky ante litteram), Hill si impose all’attenzione internazionale con un film cardine del neo-noir, Driver l’imprendibile (1978), dove mette in mostra appieno le proprie qualità dirigendo inseguimenti automobilistici mozzafiato. La consacrazione avviene poi l’anno successivo con I guerrieri della notte (1979), un cult generazionale che segna in maniera indelebile non solo l’estetica del decennio successivo, ma anche un immaginario iconico tutt’ora più vivo che mai nella cultura cinefila e popolare – basti pensare alla versione a fumetti che ne è stata realizzata in seguito.

The Warriors (questo è il titolo originale) ha come soggetto l’omonimo romanzo di Sol Yurick, ispirato a sua volta all’Anabasi di Senofonte, un’opera dell’Antica Grecia che l’autore traduce in una moderna guerra urbana tra bande rivali – e il riferimento alla Storia greca sarà presente in quella che vedremo essere la Director’s Cut della pellicola. Lo stesso Hill sceneggia insieme a David Shaber, e ambienta la storia in una distopica (ma neanche troppo) New York, le cui strade sono dominate dalla violenza di numerose gang giovanili in perenne guerra tra loro.

Cyrus, carismatico leader di colore dei Riffs, la banda più numerosa e potente della città, indìce una tregua tra tutte le bande al fine di raggiungere la pace e poter dominare la città contro la polizia. Il raduno è fissato in un parco del Bronx, a cui ogni banda può partecipare con una delegazione disarmata di nove uomini, ma la tregua è funestata dallo psicopatico Luther dei Rogues, che uccide Cyrus con un colpo di pistola per poi incolpare la gang dei Warriors del folle gesto. Dopo uno scontro generale con la polizia che disperde la folla, il gruppo dei Warriors deve intraprendere un lungo e pericoloso viaggio per fare ritorno a Coney Island, il loro territorio, mentre tutte le bande rivali vogliono ucciderli in quanto sono accusati dell’omicidio di Cyrus. All’interno degli stessi Warriors nascono tensioni per stabilire chi sia il capo, un ruolo conteso da Swan (Michael Beck) e Ajax (James Remar), e i teppisti dovranno lottare corpo a corpo con numerose bande del Bronx per poter salvare la vita.

I guerrieri della notte non è solo un magistrale esempio di come si dirigono e si montano le scene d’azione, che ancora oggi fanno da manuale per molti registi, ma – come si diceva – è anche un film entrato di prepotenza nell’immaginario collettivo. L’anno di uscita, il 1979, è significativo poiché si pone come una cerniera fra due decenni caratterizzati da un’estetica e da uno stile ben precisi, e per certi versi del tutto differenti, ma che in film come questo trovano un naturale fluire dall’uno all’altro. Per tale motivo – ma anche per la messa in scena di una violenza urbana insistita e semi-distopica – il film di Hill va a braccetto con un altro film seminale del genere pop-action, Distretto 13 – Le brigate della morte (1976) di John Carpenter. Il quale Carpenter firmerà poi un ulteriore tassello di questo grande immaginario cinematografico, 1997: Fuga da New York (1981), con cui il regista entra nell’ambientazione fantascientifica pura, ma la cui iconografia delle gang e delle strade metropolitane notturne e desolate ha più di un punto in comune con l’universo grottesco di The Warriors.

In altri termini, possiamo dire che il nostro film anticipa l’immaginario degli anni Ottanta, pur essendo prodotto anagraficamente ancora nel decennio precedente, ed è anche questa sua lungimiranza a renderlo così importante. L’immagine livida e violenta di una New York allo sbando c’era già nei seventies, in film come Il giustiziere della notte (il cui capitolo terzo riprenderà, peraltro, l’estetica del nostro film), ma era rappresentata in modo diverso: è proprio con I guerrieri della notte che si entra dritti negli anni Ottanta, fra giubbini di pelle, occhiali da sole, graffiti, cappelli da baseball, volti dipinti e costumi bizzarri e coloratissimi, il tutto valorizzato dalla fotografia satura e corposa di Andrew Laszlo. Anzi, non è azzardato dire che sia proprio questo cult-movie di Hill – insieme a pochi altri film – a definire in modo sostanziale l’immaginario cinematografico e popolare degli anni Ottanta.

Nel corso della sua lunga carriera, Walter Hill ha realizzato sicuramente film più fragorosi e più ricchi di sparatorie (qua, invece, si spara pochissimo), pellicole dove la lezione di Sam Peckinpah si fa sentire maggiormente: pensiamo al western classico I cavalieri dalle lunghe ombre, oppure a western moderni come Ricercati: ufficialmente morti (dove il massacro finale da antologia, a suon di ralenti, deriva da Il mucchio selvaggio) e Ancora vivo. Eppure, nessuno di questi ha segnato un’epoca come ha fatto invece I guerrieri della notte, un film che comunque di azione ne riserva parecchia, rivelandosi un manuale di scuola cinematografica del genere e una goduria cinefila per tutti i fan di questo ricco e mutevole filone. Hill aveva già fatto vedere di che pasta è fatto sia con i combattimenti de L’eroe della strada, sia con gli inseguimenti di Driver l’imprendibile, che si rivela tuttavia un noir molto più asciutto e realistico, un film dove i codici del noir classico si coniugano con i dettami del moderno cinema d’azione.

I guerrieri della notte è tutt’altro ancora, poiché Hill ha esplorato più o meno tutti i sottogeneri dell’action-movie: è cinema da combattimento allo stato puro, fatto di duri scontri corpo a corpo, fra lotte a calci e pugni e duelli con coltelli, bastoni, catene, bombe molotov e ogni altra arma trovata per strada. È un tipo di cinema dove i violenti scontri – diretti e montati con un’abilità sopraffina che ancora oggi molti registi invidiano – sono coreografati come movimenti di danza (brutale, ma pur sempre una sorta di danza), quasi come videoclip, prefigurando già quel solco percorso poi dallo stesso Hill con Strade di fuoco, dove le lotte avvengono a suon di musica. Qua non siamo ancora a quei livelli estremi di stilizzazione (nonostante la musica pop-rock rivesta un’importanza primaria), e il regista ha già modo di esibire più volte il marchio di fabbrica ereditato da Sam Peckinpah, cioè il ralenti, volto a enfatizzare l’atto di violenza e quasi a celebrarne una sorta di solennità visiva e fisica.

Eppure, la violenza de I guerrieri della notte, pur essendo abbondante ed esibita, è spettacolare ma non disturbante, assomiglia più alla violenza di un fumetto (tutto il film è impostato un po’ come un fumetto, e su questo torneremo, a proposito della Director’s Cut): tant’è vero che le scene di morte, a differenza di molti altri film del Nostro, si contano sulle dita di una mano, e il momento forse più cruento, cioè l’uccisione finale dello psicopatico Luther (David Patrick Kelly) per mano dei Riffs, è lasciato fuori scena e all’immaginazione dello spettatore.

Ma già l’incipit, prima ancora che l’azione entri in scena, è un manuale di montaggio, con la presentazione dei protagonisti (i Warriors, con i loro giubbini di pelle marrone con la scritta e il simbolo in giallo) alternata in modo serrato alle inquadrature sulle altre bande e sulla metropolitana in corsa: tutto senza dialoghi, dominato da una fotografia dove il buio, la luce e i colori scorrono e si alternano brutalmente, mentre martellano i timpani dello spettatore le musiche rock psichedeliche che ci introducono negli anni Ottanta. Più precisamente, in un mondo brutale, distopico, senza regole (la scritta introduttiva recita “Da qualche parte nel futuro”), che in realtà è però più vicino al presente di quanto si possa immaginare: i ghetti newyorkesi messi in scena da Hill assomigliano, da una parte, a quelli del suddetto sci-fi 1997: Fuga da New York, ma dall’altra hanno un coté non troppo distante dalla realtà.

Certo, le bande vestite nei modi più colorati e bizzarri fanno parte di quel mondo iperrealistico, fumettistico e persino grottesco che il regista voleva mettere in scena, per cui I guerrieri della notte viene a trovarsi in una specie di limbo fra realtà e fantasia, ed è probabilmente anche questo carattere così particolare ad averne decretato l’enorme successo. In un certo senso, il mondo descritto in The Warriors è apparentato a quello anarchico e ultraviolento del kubrickiano Arancia meccanica, dove realtà e immaginazione convivono, e la distopia si rivela essere più che altro una distorsione parossistica della realtà – anche se la rappresentazione della violenza è totalmente opposta, tanto estrema e disturbante in Clockwork Orange, quanto mirabolante e spettacolare nel nostro film.

Una pellicola che trasuda voglia di divertire lo spettatore, a cominciare dal look fuori di testa con cui sono rappresentate le varie gang, dove convivono peraltro varie etnie, a cominciare dai Warriors, formati da ragazzi bianchi e ragazzi di colore: oltre ai protagonisti, ci sono la banda di neri vestiti con eleganti completi fuxia, i giubbini gialli a mo’ di bomber che anticipano i “paninari”, quelli vestiti in abito militare, i “mimi” coi vestiti rossi e i volti dipinti di bianco, e soprattutto i guerrieri vestiti da giocatori da baseball, coi volti colorati, i cappelli, e armati delle apposite mazze, solo per citare alcune bande che scorrono durante l’incipit.

Ma nel corso della vicenda, che si svolge quasi interamente nel corso di una notte (tranne il finale, sull’alba di Coney Island, a Brooklyn), i Warriors ne incontreranno di ogni tipo: dagli Orphans, un gruppo di straccioni desiderosi di mettersi in mostra per non sfigurare con gli altri, alle Lizzies, composte da sole donne ma in grado di dare filo da torcere ai “nostri”, dai Punks ai Rogues, con i caratteristici abiti neri in pelle con borchie e catene, fino ai più potenti Riffs, il cui capo è vestito come un santone. Dopo il raduno iniziale, interrotto dallo sparo e dal poderoso ralenti con cui Cyrus cade al suolo, I guerrieri della notte è pressoché un susseguirsi ininterrotto di scontri e inseguimenti, con i Warriors che fuggono lungo le strade o sulla metro e ingaggiano combattimenti con qualsiasi avversario incontrino, compresi i poliziotti (chiamati “elmetti”), un nemico comune che di tanto in tanto compare e picchia a manganellate: una struttura che non è azzardato definire come una sorta di western urbano moderno, e in cui si percepisce già l’amore del regista per questo genere.

Walter Hill, seguendo l’esempio del maestro Sam Peckinpah, ha imparato non solo a realizzare i ralenti come si deve, ma anche a dosarli, poiché non è sufficiente piazzarli a caso: e proprio come Bloody Sam, anche il suo ottimo allievo preme man mano sull’acceleratore, realizzando prima qualche isolato ralenti (come la morte di Cyrus o la caduta del Warriors sotto la metro insieme a un poliziotto), per poi aumentarne la frequenza fino a metterne in scena un rapido accumulo, che raggiunge forse l’apice durante la lotta nei bagni pubblici, fra corpi che volano e porte sfondate. Fra gli scontri più degni di nota, c’è sicuramente quello con i Baseball Furies all’interno del parco, dove i calci e i pugni si alternano ai colpi di mazza da baseball, ma anche il suddetto duello nei bagni della metro o la singolare lotta con le donne all’interno del locale.

E non si lotta solo a mani nude, poiché talvolta spuntano coltelli, mazze, catene e ogni oggetto di fortuna atto a colpire gli avversari, mentre compaiono di tanto in tanto le immagini di una deejay (mai inquadrata in volto) che alla radio commenta quella violenta notte. Ogni combattimento è girato in modo frenetico, con un numero elevato di inquadrature montate in modo rapido, quasi forsennato, con i ralenti piazzati man mano nei momenti giusti e le martellanti musiche a fare da contrappunto. Si diceva, infatti, che le lotte ne I guerrieri della notte sono coreografate in modo parossistico quasi come movimenti di danza, per cui risulta fondamentale la psichedelica colonna sonora di Barry De Vorzon e Joe Walsh, un accompagnamento quasi onnipresente durante gli scontri e gli inseguimenti. Da notare anche che l’idea di girare il film quasi come una graphic-novel è accentuata da un peculiare e avanguardistico passaggio di inquadrature, con la scena che si sposta dall’una all’altra scorrendo con una banda laterale, proprio come in un fumetto.

La New York semi-distopica immaginata da Walter Hill è composta per lo più da reali scenografie esterne di strade desolate e semi-deserte, casermoni fatiscenti, parchi e stazioni della metropolitana piene di graffiti che trasudano miseria e violenza urbana. Unico momento di sollievo, per i Warriors e per lo spettatore, è la conclusione quasi poetica sulla spiaggia di Coney Island, dove i superstiti sembrano trovare una (momentanea) pace, e Swan pare addirittura conoscere l’amore di Mercy (Deborah Van Valkenburgh), sottratta agli Orphans e portata con sé dal gruppo durante la lunga e pericolosa fuga.

I protagonisti, rispetto agli altri film del Nostro, sono interpretati non da attori famosi, bensì da attori giovani e semi-esordienti che rimarranno conosciuti soprattutto per questo film, o diventeranno validi caratteristi come James Remar e David Patrick Kelly: la scelta è presumibilmente voluta, forse per dare un tratto peculiare alla pellicola, e risulta assolutamente valida per la selezione di volti giusti, volti da duri, sia per i protagonisti sia per i più spietati antagonisti, valorizzati dai primi piani sui volti e i corpi sudati.

Una doverosa postilla conclusiva va alla sopra citata Director’s Cut, cioè il montaggio parzialmente nuovo introdotto dal regista nella versione distribuita nel 2005: le novità riguardano le tavole iniziali di un fumetto narrante quell’episodio storico dell’Antica Grecia a cui Sol Yurick si è ispirato (i Greci circondati dai Persiani, come i protagonisti del film), e altre tavole di fumetti che introducono i vari capitoli della vicenda e le cui inquadrature sfumano man mano sulla scena reale, proprio come se ci trovassimo in una graphic novel. Stando a quanto si legge sul web (dunque, è bene concedersi il beneficio del dubbio), Walter Hill fu costretto nel 1979 a rinunciare a questi accorgimenti per ragioni di budget: ma la nuova versione non cambia la sostanza del film, anzi ne conferma ulteriormente la natura pop e fumettistica di cui abbiamo parlato più volte, e che contribuisce in modo determinante a rendere I guerrieri della notte quel cult-movie che conosciamo.