Il bell’Antonio, nato dal connubio tra lo sguardo di Bolognini e le penne di Pasolini e Vicentini, dimostra come si possa efficacemente ricontestualizzare un testo letterario senza smarrirne l’identità. Dove il romanzo omonimo di Brancati sfruttava l’impotenza del protagonista per scandagliare il vuoto culturale celato da un intreccio di gallismo e fascismo nella Sicilia del Ventennio, la pellicola di Bolognini, ambientata negli anni Sessanta, solleva obliquamente il problema del rapporto del soggetto con le istituzioni. Il male di Mastroianni, che fa capolino esplicitamente a metà pellicola come il villain di un horror, sarebbe stato forse curato da un matrimonio felice, se solo la famiglia della sposa non avesse fatto uso dell’autorità ecclesiastica per troncare il legame tra i due giovani. Barbara, impersonata da Claudia Cardinale, decide di abbandonare il marito in seguito alle parole degli uomini di chiesa, ed è quindi la pressione della burocrazia pontificia a rovinare quello che per Antonio era un porto sicuro, al riparo dalle continue pressioni delle donne che lo corteggiavano. È difficile non cogliere una critica sapida al comportamento dei prelati nei dialoghi tra i parenti di Antonio e i preti, accusati di prestarsi di piegare la dottrina agli interessi della famiglia di Claudia.

La pellicola gode di una fotografia costruita su un emozionale amalgama di bianchi e neri, con le ombre pronte ad ingoiare attori e superfici nei momenti di maggior peso drammatico. Spiccano però, nell’adattamento di Brancati, le performances del corpo attoriale, in particolar modo la coppia Mastroianni/Brasseur: il primo riesce ad avvolgere il personaggio di Antonio con un velo di fanciullezza, fatto di sguardi sfuggenti e femminei, baci appena accennati e movimenti felpati, mentre il secondo presta con grandissima efficacia il suo corpo ad una figura paterna sanguigna, ingombrante e schiettamente piccolo borghese, dalle maniere oscillanti tra l’impostato e il farsesco e il chiodo fisso del sesso, eletto ragione di vita (e  di morte).

Il film di Bolognini costituisce un’eccellente prova di adattamento cinematografico, in grado di restituire l’equilibrio di riso amaro e critica sociale presenti nel testo originale, pur mutandone il periodo storico di riferimento.