Tra l’arte di arrangiarsi del dopoguerra e le prime sirene dell’imminente boom economico, si poteva ancora credere ai casi di omonimia portati dentro quelle aule di tribunale mai più così presenti come nelle commedie degli anni Cinquanta. Il bigamo va letto dentro il discorso di Luciano Emmer sulle piccole crisi dentro l’istituto del matrimonio: dopo il bozzetto familiare di Camilla e prima della complicata maternità de Il momento più bello, ecco lo sposo che non potrebbe essere tale in quanto forse già maritato.

Ciò che tuttora colpisce dello sguardo di Emmer è la capacità con la quale riesce a non buttare in farsa una materia pronta a costituire una serie di sketch d’avanspettacolo. Il merito sta nella ricerca di un’autenticità che rende credibili non solo il contesto sociale e gli spazi domestici di una piccola borghesia incardinata nella centralità del sistema-famiglia garantito dal matrimonio, ma anche i personaggi sulla carta troppo improbabili per essere davvero verosimili.

In virtù della sua coralità, Il bigamo offre la possibilità di godere di un cast pazzesco, in cui gli attori sono utilizzati con sapienza nei tipici ruoli del periodo, a parte forse Marcello Mastroianni che cominciava ad emanciparsi da quello standard formalizzato proprio da Emmer: anche se la loro collaborazione è tra le meno ricordate nella carriera del divo, è indiscutibile l’incidenza di Emmer nel lanciarlo come bravo ragazzo prima di Peccato che sia una canaglia.

Abbiamo, dunque, la suprema Franca Valeri nel consueto personaggio della bruttina stagionata qui particolarmente maligna, Giovanna Ralli come verace ragazza del popolo, Marisa Merlini ora morbida ora aggressiva, Ave Ninchi solita mamma rotonda e facinorosa, Memmo Carotenuto al meglio della sua irresistibile meschinità e soprattutto Vittorio De Sica, indimenticabile avvocato smemorato e fanfarone, la cui arringa è un pezzo pregiato nella sua personale antologia di cialtroni superbamente interpretati con la leggerezza dei professionisti.

Anche solo per questo magnifico traffico di facce, Il bigamo è una delle commedie più straordinarie del periodo, capace di toccare la questione del tradimento (non solo di un sentimento ma anzitutto di un’istituzione) incrociandola con le dinamiche del rotocalco, ispirate ai molti processi mediatici che appassionavano un’opinione pubblica non ancora ammaestrata dall’immagine televisiva.

Eccelso orchestratore di commedie mai banali, Emmer conta sulla sceneggiatura di Sergio Amidei, Age, Scarpelli, Francesco Rosi e Vincenzo Talarico: ovvero il caposcuola della commedia all’italiana, i due allievi destinati al mito, il futuro maestro del cinema civile nel suo eterogeneo apprendistato e un curioso personaggio su cui è bene spendere due parole. Critico teatrale, scrittore satirico, addirittura primo divulgatore della notizia segreta dell’Armistizio, scrisse molti film popolari e fu caratterista impagabile, e il suo istrionismo autoironico è qui impiegato come controparte di De Sica.