Il programma di cortometraggi della rassegna Femminile Plurale propone tre film collegati da un filo rosso, quello dell’osservazione della gioventù in contesti problematici. Poche cose sono spiazzanti come i ragazzi posti di fronte a miseria, conflitti e turbamenti che dovrebbero essere ben lontani dalla loro giovane età, e che nella gran parte dei casi li spingono verso la criminalità e la disillusione. Ecco che in questi film convivono la vitalità e al tempo stesso l’indolenza di giovani generazioni lasciate prive di speranze, a causa di recenti conflitti, di mancanza di lavoro, povertà, assenza di scolarizzazione e di modelli virtuosi. Tutte cose che, all’osservazione di questi film, sembrano aver accomunato l’esperienza di vita durante l’affermazione dello Stato socialista a Cuba, l’Estato Novo portoghese e la desolazione post-bellica della nostra Italia. Ognuna delle tre registe, Bárbara Virgínia, Cecilia Mangini e Sara Gómez, ha affrontato con il proprio stile questo complesso tema, dimostrando tutte e tre una incredibile capacità di osservazione e di creazione di forte complicità con i propri soggetti ripresi, che mostrano nei loro sguardi il conflitto tra il residuo barlume di innocenza rimasto e il rabbioso desiderio di affermarsi, spesso e volentieri in maniera violenta e distruttiva.

In questi tre film traspare anche un altro elemento davvero interessante, cioè l’impronta militare data alle forme di aggregazione di questi giovani (per altro tutti uomini) necessaria per controllarli ma che finisce per modellarne l’atteggiamento spingendoli verso il machismo, la forza bruta e infine una sensazione di superiorità. Un’esperienza al limite del carcerario, che porta al distacco dalla vita reale, e dopo la quale non si ha più nulla da perdere.

Il film di Virgínia Aldeia dos rapazes, l’unico dei suoi due lavori ad essere arrivato fino a noi integralmente, racconta la vita di alcuni bambini all’interno di un orfanotrofio. Il racconto è mediato da interessanti soluzioni di regia, che in effetti rimandano, come premesso dalla presentazione proposta da Elena Correra, al cinema di Jean Vigo, specialmente Zero in Condotta e Àpropos de Nice, sospendendo la narrazione causa effetto e riprendendo i suoi soggetti e le loro attività da insoliti punti di vista.

Il film di Mangini Ignoti alla città racconta, nella sua opera prima narrata da Pier Paolo Pasolini, il carattere principale degli italiani, quello che poi ha trovato rappresentazione in numerose pellicole: il giovane indolente che taglia l’angolo, più ben disposto a rubare per la giornata che a sacrificarsi per un futuro più stabile e soddisfacente, e questo perché il contesto intorno a sé è miserabile, pieno di violenza e indifferenza a partire dell’ambiente familiare. E questo approccio alla vita entra in diretto contrasto con le immagini delle attività vitali e giocose di questi giovani, le lotte nel fango, i bagni nel fiume, il desiderio di trovare l’amore. Alla concretezza dei corpi muscolosi e dinamici si contrappone la sterilità dei loro intenti.

Il film di Gomez Una isla para Miguel osserva il contesto della Isla de Pinos trasformata in un grande riformatorio per addomesticare i giovani ribelli e farne dei lavoratori che possano servire il regime comunista. La regista cerca di indagare anche il perché di questa apatia, ma il problema sembra non avere un’unica origine. Troppi ragazzi giovani in famiglie numerose, poche attività in un paese in sofferenza, e la miccia è pronta ad esplodere. I ragazzi rinchiusi non trovano neanche la forza di ribellarsi, perché in effetti non hanno alcuna prospettiva di un futuro migliore.

In ultimo, una considerazione riguardo al fatto che queste registe sono state le uniche nei rispettivi contesti, affiancate solo e unicamente da colleghi uomini. E questa condizione non vale solo per Cuba, il Portogallo e l’Italia, bensì era comune in numerosi altri paesi, sia nel mondo del documentario che del film di finzione. Osservando la chiarezza di queste immagini, l’intuito con cui sono state girate e avvicinate e la forza dei messaggi che riescono a far passare, capiamo il valore del lavoro di queste autrici e del loro sguardo unico e particolare.