Stop the colors! I can’t stand it! Tra i cinefili in paradiso al Cinema Ritrovato ci sono anche gli amanti della pellicola Technicolor. Ogni anni infatti la Cineteca di Bologna riceve in prestito per il festival preziose bobine vintage a colori, proiettate nel contesto protetto del Cinema Arlecchino. Messa da parte la più banale nostalgia del passato, la pellicola Technicolor regala una visione calda e restituisce una ricca gamma cromatica. Tra i film in pellicola Technicolor che sono stati protagonisti quest’anno, spiccano due titoli di Alfred Hitchcock, entrambi dominati dalla presenza dell’algida Tippi Hedren. Si tratta di The Birds e Marnie, realizzati dal regista tra il 1963 e il 1964. Senza avanzare la pretesa di analizzare per intero l’uso simbolico del colore fatto da Hitchcock in queste due pellicole divenute classici, ci concentriamo su un aspetto che cattura certamente l’attenzione: gli abiti indossati da Hedren nei due film. 

La genesi di entrambi i film è legata a doppio filo proprio con la Hedren. Nel 1963 Hitchcock sta lavorando ai preparativi per la realizzazione di Marnie: Grace Kelly, all’epoca già principessa di Monaco, è sul punto di tornare sulle scene a fianco del regista. Tuttavia il suo definitivo rifiuto fa sì che il film venga per il momento accantonato. Mentre il progetto di Marnie resta chiuso in un cassetto, Hitchcock viene ispirato da un racconto di Daphne Du Maurier del 1953 e da un fatto di cronaca: un’inconsueta invasione di uccelli marini sulla Costa di Santa Cruz. Il soggetto di The Birds è nato, ora manca solo una nuova protagonista.

Il regista vede Tippi Hedren in uno spot pubblicitario alla televisione e non ha dubbi: è lei “the girl”, sua nuova musa e protagonista del prossimo film. Lei, all’epoca esordiente, viene plasmata completamente dal regista che le affianca da subito la costumista Edith Head, ad oggi la donna ad aver vinto più Oscar nella sua carriera. Hitchcock si appropria del corpo e della personalità di Tippi trasformandola nella stella di The Birds e Marnie e lo fa anche e soprattutto attraverso i suoi abiti, che l’attrice è invitata ad indossare durante le lezioni di recitazione impartite da Hitch e dalla moglie Alma Reville. Girare The Birds si rivelerà per l’attrice un’esperienza stressante, per non dire atroce: la paura e il terrore che lo spettatore può ancora oggi vedere sul suo volto sono autentici (la famosa scena in cui Melanie viene aggredita dagli uccelli e ridotta in stato catatonico fu realizzata chiudendo la Hedren in una gabbia con volatili in carne ed ossa).

Posto quindi che il film, com’è noto, restituisce l’immagine di una donna ricca e superficiale la cui presenza porta con sé una catastrofe naturale, vediamo come i costumi scelti da Hitchcock per Hedren siano funzionali alla trama. Dal momento che Melanie si sposta da San Francisco a Bodega Bay senza prevedere di fermarsi a lungo e che il film copre un lasso di tempo limitato, sono solo due i look studiati per l’attrice. La prima mise di Melanie è caratterizzata da toni scuri che esaltano il biondo della sua acconciatura: il nero del tailleur che l’attrice sfoggia nel negozio di animali si erge a presagio degli eventi successivi. Per il resto del lungometraggio, Melanie indossa un tailleur dalle linee semplici di colore verde, completato da pelliccia e foulard beige. Tra questi elementi la pelliccia spicca, dal momento che rafforza l’associazione tra la donna e una forza selvaggia e animalesca, caratterizzando allo stesso tempo il personaggio di Melanie come ricco e superficiale. Il verde è sicuramente il suo colore “principe”, funzionale a rappresentare la sua anomalia rispetto alla comunità di Bodega Bay.

La collaborazione tra Tippi Hedren e Alfred Hitchcock prosegue dunque nel film successivo, Marnie del 1964. Nell’opera, tratta dal un romanzo di Winston Graham, la Hedren interpreta una donna bellissima che si serve del suo fascino per svaligiare le casseforti degli uffici in cui lavora come segretaria. Come sappiamo, alla base del suo comportamento criminale (e della sua androfobia) vi è un trauma infantile che Mark Rutland, giovane e ricco editore, si ostinerà a voler fare emergere. In questo film in particolare, Hitchcock si serve del colore per caratterizzare la sua ossessione e dei suoi abiti per definire la sua personalità e i suoi cambi di identità.

I colori dell’abbigliamento di Marnie coprono uno spettro che va dal giallo pallido all’azzurro passando per i toni bruni del marrone. È evitato ovviamente il rosso, simbolo del trauma di Marnie e il cui significato doloroso è svelato solo alla fine della vicenda. Prima di vederne il volto, di Marnie vediamo solo la borsetta: una pochette gialla di pelle, la cui chiusura ricorda il sesso femminile. Marnie, che recita la parte femme fatale pur facendo di tutto per essere decent agli occhi della madre, è questo piccolo oggetto, conturbante e chiuso, giallo e nero come una vespa o un serpente velenoso. Gamme cromatiche differenti sono associate alle diverse identità che la donna assume dopo aver commesso uno dei suoi furti: giallo e nero, verde e marrone, castano e beige.

Al matrimonio con Mark corrisponde uno schiarirsi delle tinte: il biondo chiarissimo della chioma della Hedren è abbinato al bianco. Il personaggio di Marnie è caratterizzato in modo palese come un animale selvatico la cui aggressività ed elusività devono essere placate dall’uomo che a modo suo la ama, interpretato da un indimenticabile Sean Connery. “You don't love me. I'm just something you've caught! You think I'm some sort of animal you've trapped!”. E Mark replica “That's right - you are. And I've caught something really wild this time, haven't I? I've tracked you and caught you and by God I'm going to keep you”. L’animalità selvaggia di Marnie è suggerita anche attraverso l’uso delle pellicce che le vediamo indossare dall’inizio alla fine del film e che significativamente Marnie regala alla madre per procurarsi il suo affetto. Insomma nel mondo di Hitchcock abitato da bionde elegantissime, Tippi Hedren rappresenta la perfetta sintesi tra eleganza e simbolismo cromatico, plasmata com’è stata dall’ossessione che per lei nutriva il regista.