Gli anni Ottanta cinematografici hanno visto l’emergere di saghe che hanno contribuito a formare l’immaginario collettivo di tante generazioni e che ancora oggi possono contare su una fanbase solida e fedele. Tante delle suddette saghe hanno presto assunto la conformazione di franchise e, curiosamente, molte di esse hanno vissuto una rinascita in anni recenti.
Tramite forme più o meno definite di reboot, sequel e prequel, la serialità degli anni Ottanta sta vivendo oggi una seconda vita. Tra questi franchise, Alien è indubbiamente uno dei casi più interessanti, in quanto ha attraversato diverse fasi nel corso della sua storia, mutando in continuazione, proprio come la spaventosa creatura che dà il titolo alla saga.
Con l’uscita nelle sale di Alien: Romulus (Fede Álvarez, 2024), la saga di Alien raggiunge la quota di nove film (compresi due crossover con Predator) e si conferma uno dei franchise più intriganti per chi studia le narrazioni seriali.
Alien, infatti, è un terreno su cui si intrecciano perfettamente la compiutezza del singolo film e la complessità della macrostoria: ogni pellicola della saga è riconducibile ad un genere preciso, ha un tono, delle idee e dei significati che la distinguono dalle altre, ma allo stesso tempo si integra perfettamente all’interno del mosaico generale. Alla luce del nuovo capitolo diretto da Álvarez, ripercorrere la storia della saga appare quanto mai importante.
Nel 1979 esce Alien di Ridley Scott che si sarebbe presto imposto come una pietra miliare nella storia dell’horror – in particolare nella sua declinazione fantascientifica e di body horror – soprattutto per la messa in scena claustrofobica, la regia ispirata e la materialità dell’orrore sullo schermo. Sette anni dopo, James Cameron riprende quella storia e la espande, partendo da ciò che aveva fatto Scott per realizzare un film di un altro genere: non più un horror claustrofobico ambientato su un’astronave, bensì un horror d’azione, che alle tenebre del primo film sostituisce gli scontri frontali tra soldati e Xenomorfi. Aliens – Scontro finale non è solo un esperimento che riprende le caratteristiche del primo film per stravolgerle e cambiare le carte in tavola, ma è anche una pellicola che inizia ad introdurre una mitologia e un universo narrativo più complesso.
È noto che i primi due Alien siano quelli che godono di un maggiore apprezzamento: tuttavia è indubbio che anche i successivi sequel offrano numerosi elementi degni di interesse. Il terzo film, diretto dall’esordiente David Fincher – e già questo dovrebbe essere un motivo per recuperarlo –, paga una produzione travagliata, che si riflette in un’opera meno centrata rispetto ai due film precedenti.
È innegabile, però, che Alien 3 (1992) abbia i suoi momenti ispirati e le sue belle trovate, in particolare l’ambientazione sulla colonia penale, che rappresenta uno scarto rispetto ai primi due capitoli. La trasformazione di Ellen Ripley, da canonica final girl a martire è, inoltre, uno dei momenti più interessanti della saga.
A dispetto della sua apparente natura conclusiva, Alien 3 è stato seguito da un quarto capitolo, indubbiamente il più anomalo. Alien – La clonazione (Jean-Pierre Jeunet, 1997) sposta nuovamente l’asticella del genere, introducendo un tono grottesco e ironico che ha il suo apice nel controverso finale. Alien – La clonazione offre una conclusione alle avventure cosmiche di Ellen Ripley (Sigourney Weaver), che alla fine del film, per la prima volta nella saga, torna sulla Terra.
Alla pellicola di Jeunet seguono alcuni anni di silenzio, interrotti solo dai due crossover con il franchise di Predator. La saga sugli Xenomorfi riprende solo nel 2012, con il ritorno di Scott alla regia del prequel Prometheus. Nonostante le numerose differenze, i primi quattro film della saga avevano continuato a riproporre dinamiche primordiali di lotta per la sopravvivenza tra umani e mostri, escludendo completamente eventuali riflessioni e sovrastrutture di stampo intellettuale: le cose cambiano con Prometheus, che rappresenta una ripartenza del franchise secondo un approccio inedito.
Si tratta di una pellicola estremamente filosofica, che ragiona sulle origini e le ragioni della vita, chiudendosi con un interrogativo che promette un proseguimento di tale direzione. Prometheus, inoltre, sostituisce al protagonismo di Ellen Ripley nella saga principale, quello dell’androide David interpretato da un convincente e diabolico Michael Fassbender.
Il successivo Alien: Covenant (2017) diretto sempre da Scott torna verso i binari già noti della saga originale, continuando sì la storia di Prometheus, ma eliminando dalla scacchiera gli elementi non direttamente riconducibili ad Alien. La riflessione filosofica continua, intrecciandosi con considerazioni sul rapporto tra vita sintetica e vita naturale che riecheggiano Blade Runner. Anche Alien: Covenant si conclude con la promessa di una continuazione riguardo alle origini degli Xenomorfi: tale continuazione, tuttavia, non si è mai data, la saga prequel è stata interrotta prematuramente, a causa del riscontro negativo da parte di pubblico e critica e il parziale fallimento al botteghino.
I prequel di Scott restano ugualmente due capitoli coraggiosi, di cui va lodata la volontà di ampliare i confini e la complessità del franchise, che hanno però dovuto scontare, oltre ad alcune ingenuità di scrittura, le resistenze di una fanbase conservatrice, troppo affezionata alle atmosfere dei primi film.
Al di là dei suoi punti deboli, Alien è senza dubbio un’opera che ha dato tanto al cinema e alla cultura pop in generale, con le sue numerose – seppur disorganiche – espansioni transmediali e il suo impatto nell’immaginario collettivo. Ma ancora di più merita di essere sottolineata la sua capacità di reinventarsi costantemente, film dopo film, esprimendo, nel corso della sua storia, i numerosi cambiamenti e le estetiche del cinema: se è vero, come sostengono numerosi studiosi, che il cinema seriale riflette meta-testualmente sull’industria del cinema a sulle sue evoluzioni, è innegabile che Alien sia stato – e continui ad essere – uno specchio di Hollywood.