A venticinque anni dalla sua uscita, il film d’esordio di Sofia Coppola torna in sala con uno splendido restauro in 4k. Per quanto cominci ad avere una certa età, l’affascinante opera prima della regista newyorkese non sembra sentire il peso del tempo mostrandosi ancora oggi attualissima.

Il giardino delle vergini suicide, tratto dal romanzo omonimo di Jeffrey Eugenides, si concentra sui momenti che hanno preceduto il suicidio delle cinque sorelle Lisbon.  Momenti di sospensione attorno ai quali Coppola ha modellato un’atmosfera sognante e rarefatta, una patina soffusa resa ancora più magica dalle musiche degli Air.

Si tratta della dimensione del ricordo e del racconto, un’immersione nel passato filtrata dall’ingenuità del narratore. Infatti, la voce fuori campo che scandisce il ritmo del film appartiene ad uno dei ragazzi che ronzavano attorno alle sorelle, ammaliati dalla loro bellezza e dalla loro apparente irraggiungibilità. Anni dopo il tragico suicidio delle Lisbon, ormai adulto, continua ad arrovellarsi attorno ai motivi sottostanti quei drammatici eventi, incapace di trovarne un senso.

Nella periferia americana immortalata dalla regista regna un’immobilità fotografica, come la narrazione stessa di cui conosciamo il finale fin dal titolo. L’aria è densa, il tempo sembra scorrere lasciando tutto immutato. L’atmosfera di quel quartiere suburbano, che sembra uscito da una rivista illustrata, è sempre più perturbante fino al significativo finale, in cui una coltre fitta e verdognola avvolgerà l’intera zona rendendo l’aria nauseabonda e irrespirabile.

Ma ad essere asfissiante è l’indifferenza, l’atteggiamento di rimozione di fronte al disastro, il rifiuto di fare i conti con le proprie responsabilità. È questa l’umanità rappresentata da Coppola, incarnata in particolare nei genitori delle ragazze, prigionieri delle proprie paure di fronte alle quali gli adolescenti, ancora liberi e in armonia con se stessi, sono una terribile minaccia. Ne è un esempio significativo la scelta da parte dei coniugi Lisbon di sradicare la ringhiera su cui si è gettata Cecilia, come se bastasse a risolvere la questione.

A differenza del romanzo di Eugenides, in cui le ragazze sono evanescenti figure eteree e disincarnate, distorte dalla narrazione e dai ricordi di un uomo, nella versione cinematografica queste prendono vita: guadagnano non solo un volto, ma un’identità vera e propria. Coppola, mantenendo l’aura di mistero che avvolge le sorelle, è attenta a plasmarne i caratteri, lavorando soprattutto sui dettagli. A tal riguardo è rilevante notare l’importanza della messa in scena accuratissima e piena di minuzie, specialmente nell’arredamento delle camere. Il risultato è il riconoscimento della soggettività appartenente all’adolescenza, di cui l’atto estremo delle Lisbon è forse la rivendicazione più plateale.

Ogni inquadratura del film, fotografato dal magistrale Ed Lachman, mostra una complessità straordinaria, rendendo viva e pulsante, ma allo stesso tempo sotterranea e invisibile, una lotta furibonda tra il desiderio delle protagoniste di essere accettate come soggetti e gli sguardi invasivi sia degli abitanti del quartiere che degli ingenui spasimanti.

Di fronte a quegli sguardi la macchina da presa sfugge, prende posizione, e si insinua all’interno delle camere, nell’intimità delle ragazze, rivelandone le identità stratificate e complesse. La società senza tempo rappresentata da Coppola, calata nella periferia americana, mostra dunque un contesto universale in cui gli adolescenti sono come invisibili, considerati alla stregua di mezze persone senza desideri né passioni e, quindi, incapaci di prendere decisioni autonomamente.

In fondo, ad essere in gioco è la dimensione della scelta che è negata alle protagoniste, rinchiuse in casa come la Priscilla dell’ultimo film della regista. Una scelta legata non solo alla condizione adolescenziale, ma anche, e forse soprattutto, ad una questione di genere. I personaggi di Coppola sono quasi sempre figure femminili che agiscono per raggiungere una liberazione sia fisica che spirituale.

Il traguardo è proprio l’indipendenza in un mondo in cui a dominare è il maschile. Si potrebbe azzardare che il suicidio delle sorelle sia considerabile come una beffa, uno sgarbo ai ragazzi che pensavano di agire da salvatori, da principi delle fiabe che liberano la principessa dalla torre, incapaci di concepire la donna se non come un oggetto del desiderio da prendere e portare via.

Con Il giardino delle vergini suicide Sofia Coppola ha dato fin da subito espressione del suo talento, dando forma ad uno stile innovativo e originale che contraddistinguerà tutta la sua filmografia. Seppur a venticinque anni dalla sua uscita, la sua opera prima costringe ancora gli spettatori a porsi di fronti a nodi irrisolti, ferite profonde ancora vive e pulsanti che attraversano la nostra società.