Il giovane corsaro - Pasolini da Bologna è il docufilm prodotto da Luigi Tortato-Sì Produzioni in associazione con Istituto Luce Cinecittà e con il sostegno della Regione Emilia-Romagna che il giornalista di Repubblica Emilio Marrese dedica alla figura di Pier Paolo Pasolini nel centenario della sua nascita bolognese (1922) e con l’obiettivo di restituire allo spettatore il rapporto d’elezione tra il poeta e la città di Bologna.

La sceneggiatura, scritta in collaborazione con Camilla Consorti e Fernando Pellerano, ruota attorno alla figura di uno studente gender fluid (interpretato dalla giovane promessa bolognese Nico Guerzoni) impegnato nella stesura di una tesi del Dams su Pasolini, e mescola sapientemente materiale di repertorio, documenti inediti e le parole del poeta, con la fiction legata alla storia di cornice. Marrese ha spiegato: “Più che un classico documentario, è un film su uno studente dei nostri giorni che indaga sul rapporto speciale tra Pasolini e la sua città natale”.

Esplorando il periodo giovanile del poeta-regista la storia si muove tra presente e passato, e traccia alcune tematiche salienti: la gioventù, l’omosessualità (ieri e oggi), l’arte, l’avversione per il conformismo e le contraddizioni di una città come Bologna, tanto comunista per vocazione, quanto consumistica e borghese capitale della (allora) nascente società dei consumi.  La rappresentazione di Bologna, città “unica e anomala”, tratteggiata dal film di Marrese secondo la prospettiva pasoliniana è senz’altro il punto di forza del documentario che, passando in rassegna i luoghi della gioventù del poeta, rende un omaggio affettuoso ed entusiasta alla città universitaria.

Nelle parole che aprono il film viene esplicitamente evocato questo parallelismo tra Pasolini e Bologna “come se avessero lo stesso appetito”, di entrambi si può dire che fossero  “fascista poi marxista, conformista e ribelle, spirituale ed edonista, estremista radicale”. Bologna caratterizzata dalla sua ansia di sapere e di sperimentare si rivelò il terreno ideale per la fame di cultura del giovane Pasolini, che nella “dotta emiliana” trovò l’occasione di sperimentare “tutte le forme possibili di pensiero e tutti i linguaggi”, arte, cinema, pittura, letteratura. A Bologna negli anni dal dal 1937 al 1943 Pasolini ebbe modo di incontrare alcuni di quelli che sarebbero rimasti i suoi migliori amici di sempre: Roberto Roversi, Luciano Serra, Francesco Leonetti.

E di frequentare quegli spazi cittadini così tanto rappresentativi, ancora oggi, del fermento culturale bolognese e di una certa genuinità poetica come di un umanistico amore per la cultura: gli anni al Liceo Galvani, poi l’Università e l’aula di via Zamboni 33 dove seguiva le lezioni d’arte di Roberto Longhi, la casa di nascita in via Borgo Nuovo e quella di via Nosadella 48, i Prati di Caprara dove giocava a pallone, le sale cinematografiche, la biblioteca dell’Archiginnasio, la storica libreria Nanni di via Dè Musei.

Bologna fu importante per la formazione di Pier Paolo Pasolini, perché in questa città poté compiere esperienze fondative, e in seguito il rapporto con la città rossa si vestì di quell’aura di miticità data dall’ affettuoso ricordo della propria giovinezza e degli anni di studio in cui tutto ancora poteva succedere, tutto doveva iniziare. Ecco perché Pasolini stesso ricordava “Ho passato a Bologna i sette anni forse più belli della mia vita, gli anni dei primi entusiasmi per la cultura, la letteratura, la scoperta” o ancora “una città dove il mio paese è così se stesso da sembrare un paese di sogno. Una grande poesia dell’impoeticità formicolante di gente contadina e piccole industrie, buon vino, buona tavola, gente educata e grossolana".

Ma Il giovane corsaro non è solo Pasolini e Bologna: il protagonista spiega subito che uno degli intenti del film, ovvero della sua tesi sull’intellettuale, è anche quello di far conoscere Pasolini alle giovani generazioni per contrastare la diffusione di una non cultura che suole liquidare la controversa figura del poeta attribuendogli definizioni sbrigative e limitate che lo stigmatizzano, semplicemente,  come “un busone”. Il rapporto difficile di Pasolini con la sua omosessualità nasceva forse da un fattore culturale o dal rapporto col padre austero e fascista, nei confronti del quale egli ricordava che “tutto ciò che c’è di ideologico nelle mie opere dipende dalla lotta con il padre”. Lo stesso Edipo re era stato il film con cui Pasolini aveva raccontato e sublimato il suo complesso di Edipo raccontando una autobiografia mitizzata, ma il bambino del prologo era lui, il padre ufficiale di fanteria, era suo padre, e la madre, una maestra, era sua madre.

Con quel film Pasolini trattava il tema della colpevolezza dell’ innocenza, come fosse una sorta di rovesciamento del peccato originale. Allo stesso modo Pasolini visse la propria omosessualità “vedendosela accanto come un nemico”, una colpa, una devianza inaccettabile dalla etero-normalità, e dunque mentre predicava conto il conformismo, si trovò ad essere lui stesso conformista, aderendo a questo atteggiamento giudicante, che non gli permise di vivere serenamente la propria condizione sessuale. Per Pasolini la propria omosessualità fu un ospite indesiderato, qualcosa che andava nascosto, vissuto di notte, al buio e che, agli occhi degli altri, lo rendeva “un comunista poco ortodosso, un poco di buono”. Forse fu questo l’unico tema per il quale non ebbe il coraggio di “combattere fino in fondo per le proprie idee con lungimiranza”. Visse la propria omosessualità con una rigidità che probabilmente lo espose a rischi e pericoli di cui rimase vittima egli stesso nel novembre del ‘75 sui lidi romani.

Edoardo Sanguineti definì la sua fine come un “suicidio per delega", dato che Pasolini non si fermava di fronte a pratiche estreme e/o violente (sadomasochistiche e feticiste), anche con minori. Per tutte queste ragioni, se troviamo un unico difetto al film di Marrese, si tratta forse di questa intenzione di fare dialogare la figura di Pasolini/omosessuale con il tema del gender e della fluidità sessuale “al giorno d’oggi”, quando forse  non è correttissimo instaurare un reale parallelismo tra le due prospettive quasi antitetiche.