Quando Judy Garland, travestita da bambina per impersonare Dorothy (e quindi perfidamente defraudata del suo potenziale erotico), intona una suadente Over the Rainbow, l'associazione tra la voce e la fonte sonora crea un bizzarro cortocircuito. Altrettanto stridente appare poi il finale:  scomodare Roosevelt e il ritorno all'America agraria non sembra bastare a spiegare perché mai, in barba alle possibilità offerte dal Technicolor e dal passaggio all'età adulta, la protagonista esulti della regressione ad un Kansas virato seppia, in cui restare bambina. Una lettura metacinematografica può però chiarire che la nostalgia verso un vecchio modo di fare cinema è la chiave per comprendere il personaggio: Judy Garland nel Mago di Oz segna la fine dell'epoca della child-woman, ovvero della donna che recita la parte di una bambina.

Le radici di un tale ibrido affondano negli archetipi della cultura statunitense: da un lato il mito dell'infanzia, legato alla purezza di una terra incontaminata; dall'altro la ben nota ossessione per la verginità e la negazione della sessualità femminile. Di qui un fantasioso entimema: “dato che il bambino deve restare innocente e che la donna deve restare anch'essa innocente, allora la donna deve restare una bambina”.

La child-woman, rintracciabile in una grande quantità di pellicole del periodo del muto, di certo fa il suo ingresso al cinema come reazione alla New Woman e alla flapper, ma è anche il baluardo di un'innocenza culturale difficilmente sradicabile dall'immaginario, nonostante la nazione sia ormai arrivata alla maturità grazie all'industrializzazione e al progresso economico e sociale.

David W. Griffith, per il quale l'emancipazione femminile sembra temibile almeno quanto la miscegenation, è certamente colui che ha maggiormente contribuito al catalogo delle donne-bambine, una su tutte Lillian Gish, sua attrice-feticcio. L'aspetto fragile della Gish, perfettamente in linea con i dettami dell'iconografia vittoriana cari al regista, permette di enfatizzare l'effetto drammatico, specie quando l'attrice si trova a recitare la parte della sacra vittima. Ecco che in Nascita di una Nazione il dramma politico è allegorizzato attraverso il dramma sessuale: difendere la verginità della fanciulla significa allora difendere l'integrità morale della nazione stessa, preservabile soltanto con il rifiuto del progresso sociale, vale a dire rifiutando l'emancipazione degli afroamericani. In Giglio Infranto, Lillian Gish, già venticinquenne, interpreta Lucy, una giovane vergine oggetto di desiderio e di violenza. Poco importa che il film sia ambientato a Londra: la morte della protagonista è un chiaro segno che i valori e gli ideali old-fashioned che hanno dato origine a un simile personaggio sono praticamente indifendibili.

Rievocando la child-woman è impossibile poi non pensare a Mary Pickford, per quanto assai distante dai canoni griffithiani. Se si esclude una manciata di film, tra cui Rosita e Dorothy Vernon of Haddon Hall, la particolarità dell'attrice è che – rimanendo in tema di cortocircuiti – ringiovanisce crescendo e, nonostante l'età, continua a vestire i panni della bambina. Affascinata dall'ambiguità della child-woman, la Pickford la rivisita, aggiungendo alla consueta negazione della sessualità (non così negata, tuttavia, da impedirle di diventare l'America's Sweetheart) la voglia di avventura tipica dei monelli, rigorosamente maschi, della tradizione letteraria. In questo modo, almeno superficialmente, i suoi personaggi appaiono liberi dalle pressioni culturali e rivendicano una sorta di indipendenza, ma senza mai scomodare la questione dell'emancipazione femminile, confinati come sono nel regno dell'infanzia.

La finzione regge fino ai tardi anni Venti, quando l'avvento del sonoro costringe ad un maggiore realismo, ragion per cui Judy Garland risulta poco credibile nei panni di Dorothy: la child-woman è stata ormai schiacciata dal tip tap di Shirley Temple.