"Devo cercare di realizzare una colonna sonora che piaccia sia al regista, sia al pubblico, ma soprattutto deve piacere anche a me, perché altrimenti non sono contento. Io devo essere contento prima del regista. Non posso tradire la mia musica". (Ennio Morricone durante la cerimonia di assegnazione della sua stella nella Hollywood Walk of Fame il 26 febbraio 2016).

Nella cultura dell’audiovisivo si tende a dare quasi per scontata una particolare qualità delle colonne sonore che risiede nella capacità (per nulla banale) di istituire una naturalmente fluida e genuina connessione di causa/effetto tra le immagini e la musica adoperata per commentarle, accompagnarle, rafforzarle. Eppure, se ci soffermiamo a considerare in maniera un po' più approfondita i modi disparati in cui una traccia sonora può accompagnare le immagini di un film, ci accorgeremo che sono tantissime le varianti che possono entrare in gioco nel trasformare il senso di ciò che vediamo, se messo in relazione con ciò che contestualmente sentiamo.

Così, dato che sia la musica sia le immagini sono portatrici di stati emotivi (amore, paura, odio, tenerezza) a seconda che venga applicata un’ottica di convergenza o divergenza fra i due linguaggi, otterremo effetti assai diversi sullo schermo. Questo solo per accennare al complesso discorso che riconosce al brano musicale una struttura narrativa e al rapporto tra immagine e musica il valore incisivo rivestito dal movimento ritmico che coinvolge entrambe e, contemporaneamente, durante la fruizione spettatoriale. Con questa riflessione sullo sfondo, ci poniamo la domanda che, a pochi giorni dalla scomparsa di Ennio Morricone, pare essersi prepotentemente diffusa in ogni dove: Non c’è grande musica senza grande film o viceversa? In che cosa era così grande il Maestro?

La risposta che è affiorata alla nostra mente ha le sembianze di un preciso film in particolare. Infatti, tra le centinaia di colonne sonore composte da Morricone, tra i western di Leone, le nomination dell’Academy per i film americani, il premio Oscar tarantiniano, e persino la musica pop, quella che ci piace qui ricordare è l’unicum assoluto, la rarità, l’originalità innovativa di Uccellacci e uccellini. Per la sua favola ideologica Pier Paolo Pasolini ebbe “la gioia di dirigere Totò e Ninetto: uno stradivario e uno zufoletto". Di loro disse che insieme erano “un bel concertino”. E a musicare questo concertino, chi altri poteva chiamare il poeta se non il compositore che già era stato consacrato con il suo primo Nastro d’Argento (1965) con Per un pugno di dollari?

Uccellacci si distinse da subito per essere il film dei “primati”: ultima pellicola di Totò da protagonista (che gli valse il secondo e ultimo Nastro d’argento nel ‘67), prima per Ninetto (dopo il debutto fra i pastori del Vangelo secondo Matteo), la più amata da Pasolini, perché era “il suo film più povero e il più bello” e (cosa rara) subito osannata dalla critica.

Morricone ebbe l’idea di contrassegnare Uccellacci come qualcosa di “mai visto”, e fece cantare i titoli di testa e di coda del film dalla voce di Domenico Modugno, ottenendo un effetto altamente suggestivo. Il brano si caratterizza come un complesso pastiche stilistico dall’aria "colta" con violoncelli, flauti e tamburelli mescolati sapientemente a fischi, risate ed agli svolazzi vocali di Mr. Volare. Alfredo Bini presenta l’assurdo Totò, il matto Totò, il furbo Totò nella storia Uccellacci e Uccellini, raccontata da Pier Paolo Pasolini con l’innocente col furbetto Davoli Ninetto […] producendo rischiò la sua posizione Alfredo Bini, dirigendo rischiò la reputazione Pier P. Pasolini”. Sullo sfondo il fermo immagine in bianco e nero di una luna piena nascosta tra le nubi, che pian piano si dissolvono per lasciare spazio alla domanda “succo di una intervista di Mao a Mr. Edgar Snow, che è il fondamento ontologico del film stesso: “Dove va l’umanità? Boh”.

Mentre il cammino senza  meta apparente dei due protagonisti ne traduce in immagini la risposta, la colonna sonora accompagna le avventure di questi due personaggi come sradicati da una modernità a cui non appartengono ed evidentemente avulsi e reietti da un mondo borghese di cui non fanno parte. Totò e Ninetto camminano senza meta sotto il sole cocente (come in un western urbano) sulle note esaltanti di Scuola di ballo al sole (brano che invitiamo a riascoltare nella riedizione del 2006 per GDM Music): chitarra elettrica e scampanate per un effetto beat condito di un sottofondo di humour nero. La melodia, costruita su tonalità minore e armonizzata in chiave ironica, crea quell’effetto tragicomico che veste tutto il film come un costume cucito addosso alle maschere di Totò e Ninetto. Totò, qui conciato volutamente alla Chaplin, esasperando le smorfie e le tonalità più dark della sua espressività, dà voce contemporaneamente al cinismo di un’Italia ormai orfana di ideologie e idealismi, ma anche all’afflato di santità che lo anima nei panni del frate evangelizzatore Ciccillo (pur investito da mille dubbi: “la fede è per i santi, ma io sono un uomo, con la fede ci si crede, ma con la scienza ci si vede”).

La colonna sonora si sviluppa accompagnando le peregrinazioni di Totò e Ninetto, e passando dalle tonalità moderne del rock beatnik anni ’60, ai violini inquietanti e giocosi di Teatrino all’aperto, tra i temi più classicheggianti di Aforismi, a quelli mistici di San Francesco parla agli uccelli. Per arrivare alla citazione “resistente” di Scarpe rotte costruita sulla base di Fischia il vento, che scandisce il “cammino cominciato” e “il viaggio già finito” di due poveri morti di fame, che provano a cambiare il mondo a modo loro, ribellandosi all’egemonia della proprietà privata (picchiano violentemente i proprietari dei campi che li hanno sorpresi a defecare nel loro terreno), ma allo stesso tempo si prestano a perpetrarne le ingiustizie per conto dei padroni.

Nella scena in cui Totò e Ninetto si fanno portavoce del padrone per la riscossione dell’affitto dalla povera fattrice, è il brano Nidi di rondine a costruire la spina dorsale dell’episodio con la sua trama orientaleggiante (fatta di gong e tintinnii di triangoli), chiaro riferimento alla vicina Cina e all’ideale comunista in crisi. Persino le movenze dei personaggi sembrano scimmiottare quelle di due cinesini. Non c’è nessuno in questa casa? Siete tutti morti? Resuscitate morti di fame!”, così esordisce, spietato, Totò per richiamare gli abitanti del casolare troppo affamati per rispondere. La povera madre è costretta a tenere i bimbi a letto da giorni per non aver di che mangiare. Al marito serve in tavola dei nidi di rondine lessati, chiaro riferimento del pasto a base di scarponi de La febbre dell’oro. Bisis is bisis è chiaro? esclama Totò. Gli affari sono affari, e io sono un uomo d’affari, faccio gli affari, ci tengo agli affari” è quello che ripeterà a sua volta l’ingegnere-padrone, mentre Totò e Ninetto sono atterrati sotto il peso dei due mastini da guardia sguinzagliati contro di loro.

Un cartello ci dice che siamo a 13.257 chilometri da Cuba… partono le immagini dei Funerali di Togliatti. Pugni alzati e bandiere rosse. Il brano di Morricone, stavolta, scandisce con la sua marcia funebre tradizionale la fine di un altro ideale, quello socialista. Il corvo è rassegnato: “Ormai non ve lo chiedo neanche più dove andate e io che so tante cose questa non la saprò mai. Il cammino comincia e il viaggio è già finito". La colonna sonora è ridotta all’osso. Sulla strada assolata c’è solo il frinire di cicale e in sottofondo ancora Scuola di ballo al sole. Prima Totò e poi Ninetto inscenano un attacco di mal di pancia per rispondere a ben altro bisogno fisiologico, in compagnia di Luna, la donna che guarda le rondini seduta sul ciglio della strada. “I professori vanno mangiati in salsa piccante, diceva Giorgio Pasquali, però chi li mangia e li digerisce diventa professore pure lui.... di quanti problemi si potrebbe parlare a proposito di puttane... Le mie parole cadono nel vuoto...”. Sono queste le ultime frasi del corvo sapientone.

I restanti due minuti del film sono quasi muti. Totò gesticola per comunicare a Ninetto la sua efferata intenzione: “Io me lo mangio, ce lo mangiamo...Tanto se non lo mangiamo noi se lo mangia qualcun altro”. “Sì sì c’hai ragione m’ha stufato... e come se lo magnamo?”. “Come gli antichi che buttavano via i cocci e se magnavano li fichi". Totò Fischietta. Si avvicina al corvo dondolandosi sul suo ombrellino nero chiuso. Sorride, si strofina le mani, si china velocemente sul bipede e “Gnàm”. Fermo immagine sulla faccia di Totò allampanata che acciuffa l’uccello per il collo. Dettaglio delle zampette del corvo rimaste per terra. Campo lungo sulla strada percorsa dai due protagonisti al tramonto. Titoli di coda cantati. Suono di campane gloriose. Fine.

Grazie all’accompagnamento di una colonna sonora “rivoluzionaria”, ma anche ironica e a tratti cinica, l’anima del film assume il sapore di un western in cui i tradizionali ruoli dei buoni e dei cattivi sono rimescolati, e come unico morto, sulla terra ancora fumante del falò che lo ha letteralmente cucinato, è rimasto il povero corvo, ossia il simbolo della ideologia (il corvo è un intellettuale di sinistra “di prima della morta di Togliatti”, non dimentichiamolo).

Oltre al legame morriconiano con il genere, del western non mancano nel film alcune delle tipiche immancabili icone, come le pistolettate (nella scena in cui i proprietari del terreno mettono in fuga Totò e Ninetto a suon di doppietta), la corsa tra la polvere (Totò e Ninetto si arrampicano scappando su una parete rocciosa), persino l’inquadratura dal basso degli stivali tra le gambe divaricate e, per finire, la prostituta. Segnali che, a parer nostro, evidenziano per lo meno un divertissement del regista. E chissà che il filo conduttore o addirittura l’ispiratore di questa atmosfera così tanto westerniana non sia da ritenersi proprio lui, il maestro Morricone. A riprova di quanto volevamo dimostrare. Non c’è uovo né gallina, l’unica cosa certa è che il legame tra musica e immagini resta indissolubile e la compenetrazione semantica e strutturale tra loro irreversibile.