Con il suo nuovo film Il vizio della speranza, scritto insieme a Umberto Contarello e presentato in anteprima italiana alla Festa del Cinema di Roma, il regista di Indivisibili Edoardo De Angelis torna a raccontare le zone d’ombra di una Campania povera e dimenticata, andando alla ricerca di un ultimo tizzone ardente di luce in un fuocherello di umanità che sembra assuefatta alla disperazione.

Siamo lungo le sponde del Volturno, un non-luogo dove le regole della civiltà e dello Stato sembrano assenti e la vita è solo un trascinarsi stanco e svogliato tra monnezza e baracche fatiscenti. L’eroina da spararsi nelle vene è qui “un cappottino di velluto” per i pochi fortunati che se la possono permettere e la morte sembra quasi una liberazione. La giovane Maria (Pina Turco) vive, anzi sopravvive, lavorando per una spietata mezzana (Marina Confalone, sempre bravissima) come traghettatrice di ragazze madri e prostitute incinte che sono costrette a vendere i loro figli al mercato delle adozioni illegali. Un inferno ormai familiare e inevitabile, rischiarato però da un miracolo inaspettato: Maria resta incinta, proprio lei che una violenza subita da bambina aveva condannato a una vita senza figli. Ed è questo che fa rinascere nella protagonista qualcosa che sembrava sepolto, quella voglia di rivendicare il proprio diritto alla speranza che secondo la terribile zi’ Mari’ è un vizio pericoloso quanto la voglia di libertà.

La nascita, evento comune e straordinario, diviene così la scintilla creatrice di in una famiglia affettiva fatte di “brave persone”, in cui non conta tanto il legame di sangue quanto l’aver mantenuto una purezza di fondo, faticosamente difesa in un mondo dove per disperazione si può vendere tutto, anche la propria vita. Una natività da presepe contemporaneo, a cui dà forza la colonna sonora di Enzo Avitabile. Ispirandosi nelle sonorità alla musica sacra popolare del ‘700, il compositore partenopeo cerca una comunione tra trascendenza spirituale e realtà laica andando al cuore degli obiettivi di De Angelis.

Rispetto all’opera precedente del regista, però, sembra mancare qui lo stesso equilibrio tra aspirazioni metafisiche e legame con il reale. De Angelis non si accontenta di suggerire ma sente il bisogno di sottolineare, di evidenziare, di spiegare, una parabola che è già fin troppo evidente. Si accumulano i facili simbolismi e le parole inutili che finscono per toglire qualcosa a questa storia umanissima e davvero universale, che in fondo racconta del coraggio necessario per fare un figlio nel mondo di oggi, contro ogni logica economica e nonostante l’orrore quotidiano che ci circonda.