L’invito del grande Pier Vittorio Tondelli nel racconto “Viaggio” (Altri Libertini, 1980) a farsi riempire la testa di storie risuona chiaro nel nuovo film di Cinzia Bomoll, ambientato in quella stessa provincia emiliana sulle cui strade lo scrittore “spolmonava” quello che aveva dentro e raccontava i molteplici itinerari esistenziali che incrociava. Scritto da Bomoll insieme a Christian Poli e Piera degli Esposti, che presta anche la sua voce narrante per quello che è stato il suo ultimo impegno artistico prima della scomparsa, La California intreccia le storie degli abitanti della frazione/finzione emiliana con la narrazione di formazione di Ester e Alice (le sorprendenti Le Donatella), sorelle gemelle, figlie di Yuri, un padre punk eterno adolescente che alleva maiali (Lodo Guenzi), e di Palmira, una madre irrimediabilmente depressa e disorientata dalla fine del comunismo. L’arrivo in paese di Allende e suo figlio Pablo, in fuga dalla dittatura di Pinochet, ne sconvolgerà gli equilibri sentimentali. Nella vita delle gemelle e della frazione sentiamo l’eco di precisi avvenimenti storici (il regime cileno, la Resistenza, la strage di Bologna, la caduta del Muro di Berlino, la fine del PCI) che affiancano i sogni e le aspettative dei personaggi andate deluse.
Questa stratificazione narrativa diventa anche geografica: come Ester e Alice, La California ha ovviamente un suo doppio che evoca la frontiera americana dove la strada sembra essere una condizione permanente. Anche questa stratificazione geografica, colta con campi lunghi, ci parla di aspettative deluse perché gli orizzonti della frazione emiliana sono certamente più angusti delle distese americane, circoscritti come sono dalle ciminiere e dalle fabbriche che contrastano con la campagna e che saranno scena del crimine. Il ritrovamento di un corpo senza vita in una vasca da bagno in un terreno è, infatti, l’inizio di un lungo flashback narrato da una voce fuori campo, accorgimenti narrativi tipici del noir, per arrivare a spiegare come quel cadavere è arrivato dov’è stato rinvenuto.
Tuttavia, La California non è primariamente interessato ad illustrare i meccanismi dell’indagine e dello svelamento del colpevole. Per gran parte del film, infatti, l’omicidio passa decisamente in secondo piano, riacquistando con forza predominanza narrativa nella conclusione e lasciando il posto ad un bildungsroman e a toni da commedia di costume un po’ surreale. In questo modo, si crea un’ulteriore commistione, quella tra diversi generi. Anche in questo caso, la narrazione gioca abilmente con le aspettative degli spettatori e delle stesse protagoniste che sognano di lasciare il paesino emiliano per la California americana.
Per questo, e per le ripetute immagini della strada, ci aspetteremmo un film on the road, ma effettivamente questa dimensione generica non arriva mai: le gemelle non riescono a lasciare la California, come nessuno degli altri personaggi, ad eccezione forse della parrucchiera Liviana (Angela Baraldi) che insegue il suo sogno musicale, pur continuando a mantenere i contatti con le due gemelle. Anzi, è la California ad attrarre persone dall’esterno, con l’arrivo in paese di Allende e suo figlio. Nemmeno la nonna di Ester e Alice ha mai lasciato veramente La California: ne racconta le vicende come voce narrante e il suo spirito aleggia sulle strade e sui campi.
Grazie all’incrocio di storie, piani narrativi diversi e divergenti aspettative di genere, La California evita la mera operazione “nostalgia”. Sostenuto da un cast composito che rende omaggio alla tradizione musicale e alla commedia emiliana e che riserva ad Andrea Roncato un ruolo inedito e intenso, La California attesta la continua vitalità e ispirazione narrativa dei luoghi della provincia tra la via Emilia e il West.