Franco Maresco nel 2017, a 25 anni dalle uccisioni di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, decide di iniziare le riprese di un nuovo film. Al centro di La mafia non è più quella di una volta ci sono le stragi di Capaci e via D’Amelio viste attraverso due figure molto diverse tra loro e che rappresentano due fronti opposti. Da un lato c’è Letizia Battaglia illustre fotografa italiana nota soprattutto per i suoi scatti sulle guerre di mafia, dall’altro lato si trova Ciccio Mira già protagonista nel film precedente di Maresco Belluscone. Una storia siciliana.
Letizia Battaglia è delusa, ma non cinica, come invece è Maresco, e guarda alle persone con la speranza di chi non può credere che una tale strage, un tale incubo, sia caduto nell’indifferenza da parte della società siciliana. Così si lascia convincere dal regista ad andare insieme a lui a ben due eventi in ricordo di Falcone e Borsellino e rimane sconvolta da quello che vede: nel primo caso ciò che si trova davanti è un corteo di persone che festeggiano a ritmo di playlist musicali non solo improbabili, ma che non hanno nulla a che vedere con quanto accaduto. La seconda volta viene trascinata alla festa organizzata dall’omertoso e falsamente redento Ciccio Mira che, per l’occasione, ha radunato allo Zen di Palermo, su un unico palco, i migliori cantanti neomelodici in circolazione, alcuni ballerini e una “campionessa” di danza del ventre, per dire tutti insieme non “No alla mafia”, ma “ricordiamo Falcone e Borsellino per il loro lavoro di illuminazione cittadina, i parchi e gli asili”.
Ecco così che lo sguardo inquisitorio di Franco Maresco, nel corso del film, si fa sempre più evidente fino a quando, senza contenersi, il regista entra in campo e parla direttamente ai suoi intervistati. Il suo forte sguardo d’autore è, come sempre, estremamente politicizzato e totalmente fuori da ogni schema. Racconta di una Palermo che ignora il passato, lo rinnega e non lo vuole conoscere e ricorda due eroi solo per un senso del dovere falso e omertoso come lo è Mira. Un paese ancora impaurito, rancoroso e allarmante agli occhi dello spettatore un po’ come lo sono i freak dell’impresario: uno su tutti il ragazzino Cristian Michel vittima e carnefice allo stesso tempo di quel sistema. Maresco assume con piena coscienza il ruolo del documentarista e sfrutta il meccanismo dell’inchiesta televisiva, legata da un unico fil rouge ed elabora il reale creando un’opera basata su una struttura fortissima e grottesca che denuncia, con una nera ironia, quello che sta succedendo a Palermo negli ultimi anni.
La travolgente politica culturale di Maresco pone quindi lo spettatore davanti a quella dimensione fortemente drammatica spingendolo poi ad indagare sulla sua realtà e infine gli chiede di aprire gli occhi perché tutto in La mafia non è più quella di una volta è solo apparentemente costruito. Infatti Maresco elabora il suo complesso racconto etico-politico ed i suoi personaggi in modo tale da rendere difficile allo spettatore credere che non sia tutta una finzione, creando così, alla fine, una inquietante sensazione di spaesamento nelle menti di chi guarda.