David Lynch. Dreams. A Tribute to Fellini: o del senso di Lynch per il nero. Dopo essere stata ospitata nella cornice incantevole di Castel Sismondo in occasione della Festa del Cinema intitolata "La Settima Arte", si sposta alla Galleria Primo Piano, sempre a Rimini e fino al 14 luglio 2019, la mostra in cui Lynch ripensa, in 11 litografie, la scena finale di . Non è certamente casuale l'innamoramento di Lynch per la litografia e la sconcertante esattezza dei suoi neri,  che lo ha portato sino a Parigi per la loro realizzazione, presso il famoso laboratorio di Item Editions. Sì, perché se è vero che la grandezza di Lynch ripone in parte nella varietà del suo immaginario visivo, iperbolico quanto sterminato, ricco anche di colori saturi e pastosi, è pur certo che la passione per il nero in purezza è seminale della sua poetica, dagli albori cinematografici di The Alphabet e The Grandmother sino alla fotografia di paesaggi industriali decadenti, sua passione di lunga data.

E del grande girotondo finale di , girato sì in un contrastato bianco e nero ma nel complesso aereo, aperto, leggiadro come una brezza, Lynch racconta più la pesantezza degli elementi che la gaiezza del movimento, più l'incombenza dello spazio che la liberazione nella sua vastità, e l'enorme scenografia in fase di dismissione e abbandono, che Fellini aveva immaginato come accettazione finale della vita così com'è, unica soluzione possibile per qualche tipo di serenità, diventa invece mostruosa e inappellabile, pura forma che trascende l'uso e il contesto per farsi simulacro di inquietudine.

Si è molto parlato del rapporto fra Fellini e Lynch. Lynch stesso, che non parla mai troppo volentieri di sé (anche se negli ultimi anni si è fatto più loquace), ha ricordato più volte i loro due incontri, l'ultimo dei quali subito prima che il maestro riminese morisse. Così come non manca mai di rilevare, come pervaso da qualche sorta di pensiero magico, come siano nati lo stesso identico giorno, il 20 gennaio (nel 1920 Fellini, nel 1946 Lynch). Entrambi hanno creato immagini della materia di cui sono fatti i sogni ma, come viene spesso evidenziato, le fantasie di Fellini sono rifugio, rimembranza, malinconica e fulgida consolazione, quelle di Lynch una discesa da incubo nell'indicibile, l'inconfessabile, il rimosso.

In questo, i 12 bozzetti di Fellini in mostra, scelti personalmente da Lynch all'interno di uno sterminato archivio, sono il preciso contraltare delle litografie: colorati, opulenti, caricaturali eppur pietosi, perfetta ode alla vita e ai personaggi che la abitano. Profondamente simili quanto dissimili, di sicuro sia Fellini che Lynch sono fra i più grandi surrealisti della storia del cinema, e forse i due più in grado, in assoluto, di far recepire le loro visioni complesse a un pubblico largo.

Resta poi il dubbio del perché, per Lynch, proprio fra tutta la produzione felliniana. Film in generale amatissimo dai registi (in primis Martin Scorsese che lo considera uno dei suoi preferiti in assoluto), dato che proprio di loro e del temibile fantasma della crisi creativa tratta, sembrerebbe però lontano dalle possibili preoccupazioni di colui che si è dichiarato intento a raccogliere idee dalla mente come altri pescherebbero pesci, idee alle quali basta lasciare spazio per farle affiorare da sole. Forse anche lui, sotto sotto, non è ancora riuscito a confessarsi tutto.