Un treno arriva in un villaggio degli italiani nei Paesi Bassi: tanti giovani emigrati desiderano fare fortuna lavorando nelle miniere (teatri di orribili tragedie come quella di Marcinelle in cui morirono 262 persone, tra cui la metà italiani). Dalla notte delle scene in esterno entriamo nella notte perenne della miniera, dove i volti degli operai si mescolano con l’oscurità delle pareti. Emmer ci racconta ognuno di loro tramite i gesti reiterati, i lunghi primi piani e la sua pazienza nei movimenti di macchina descrittivi che ci ricorda la perizia nel raccontare immagini non in movimento: i quadri. E nell’inferno di una miniera conosciamo i due personaggi del film: Federico, un minatore esperto, e Vincenzo, un giovane appena arrivato. I due, imprigionati in seguito ad un crollo, sognano un paradiso possibile: le vie del quartiere a luci rosse di Amsterdam. Così, una volta risaliti, si avventurano tra le strade buie di una città controversa, fatta di acqua e romanticismo, ma anche di prostitute che si espongono come merce dietro alle finestre che danno sulla strada.
Il film è un viaggio che non prevede momenti di riposo per i nostri protagonisti: vagando tra i bar più stravaganti del quartiere, con il fardello della loro solitudine e dei loro timori, Emmer ci immerge in un mondo di umiltà, di disperazione e di asfissia (anche quando ci troviamo all’aria aperta), dove le ombre sono più presenti rispetto alle luci.
Il viaggio procede con l’incontro di due prostitute, Cori e Else, donne lacerate nel desiderio di amore e di stabilità. Inizia la parentesi idilliaca della relazione tra Vincenzo e Else, costantemente disturbata dal vento, da incubi e dalla loro incapacità di comprendersi, dovuta alla differenza di lingua e di cultura. Se il buio cela l’intimità, la luce imbarazza, scopre ogni punto debole e incentiva l’incomunicabilità: i loro occhi non sono abituati alla luce e i loro sguardi diventano impossibili. Come lo scorrere dell’acqua, il quartetto si ritrova davanti allo stesso mare, in cui Cori si immergerà anelando al battesimo della nuova vita sognata.
Ma non c’è redenzione per nessuno di loro: alla miniera si arriva e alla miniera si ritorna. Il treno del finale non ci accompagna con Vincenzo in Italia, ma ci fa riscendere giù, ci fa riscoprire il buio. Eccoci di nuovo all’inizio del film, dove nulla sembra essere cambiato nella vita dei nostri protagonisti: Cori e Else continuano a non fare parte della loro vita sentimentale, restano ciò che sono sempre state, prostitute.
Con La ragazza in vetrina, film del 1961, Emmer ci racconta due mondi non troppo diversi: quello degli emigrati italiani in Olanda e nei Paesi Bassi e quello delle prostitute, temi caldi per la Democrazia Cristiana, che censura il film e lo vieta ai minori di 16 anni. Le controversie di produzione hanno accompagnato la storia di quello che Emiliano Morreale considera il “film maledetto”, che fino al 1990 sarà l’ultimo della carriera del regista. Ancora oggi ci inquieta il rapporto strettissimo di Emmer con il documentario: assistiamo ad un film crudo che smette di essere solo finzione e si trasforma nel racconto di una realtà parallela al benessere del secondo dopoguerra.