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I ragazzi della miniera. Per una lettura queer di “La ragazza in vetrina”

La ragazza in vetrina ha un forte sottotesto omoerotico, silenziato anche dalla critica più progressista che difese il film contro, per usare le parole di Lorenzo Pellizzari su Cinema Nuovo, “le adirate proteste dei benpensanti . . . e della loro gesuitica morale”. La decisione di Vincenzo di rimanere nella miniera, in verità, è dovuta alla presenza di Federico. Centrale in questa lettura del film è la scena all’interno del bar gay in cui Federico entra involontariamente, nel suo vagare ubriaco per i locali di Amsterdam, e dove rimane per diverso tempo, diventando non solo oggetto del desiderio degli avventori ma anche della stessa macchina da presa che lo inquadra con un lungo, voyeuristico, carrello laterale. 

“La ragazza in vetrina” e l’asfissia senza benessere

Con La ragazza in vetrina, film del 1961, Emmer ci racconta due mondi non troppo diversi: quello degli emigrati italiani in Olanda e nei Paesi Bassi e quello delle prostitute, temi caldi per la Democrazia Cristiana, che censura il film e lo vieta ai minori di 16 anni. Le controversie di produzione hanno accompagnato la storia di quello che Emiliano Morreale considera il “film maledetto”, che fino al 1990 sarà l’ultimo della carriera del regista.  Ancora oggi ci inquieta il rapporto strettissimo di Emmer con il documentario: assistiamo ad un film crudo che smette di essere solo finzione e si trasforma nel racconto di una realtà parallela al benessere del secondo dopoguerra. Il film è un viaggio che non prevede momenti di riposo per i nostri protagonisti: vagando tra i bar più stravaganti del quartiere, con il fardello della loro solitudine e dei loro timori, Emmer ci immerge in un mondo di umiltà, di disperazione e di asfissia, dove le ombre sono più presenti rispetto alle luci.

“La ragazza in vetrina” al Cinema Ritrovato 2018

Non bisogna essere timidi di fronte ad un film sfortunato e martoriato come La ragazza in vetrina. E quindi diciamolo, senza paura né vergogna: è un capolavoro incredibile, abbacinante, assoluto. E ancora: è un delitto che la carriera cinematografica di Luciano Emmer si sia interrotta dopo questo film, per riprendere un trentennio dopo. Quintessenza di una modernità coraggiosa e consapevole, gemma nascosta nel fenomenale primo lustro degli anni Sessanta italiani, l’ottavo lungometraggio del regista milanese torna allo splendore grazie ad un restauro che ha l’ulteriore merito di recuperare alcune scene tagliate dalla censura. La ragazza in vetrina, infatti, presentava due questioni del tutto indigeste al potere democristiano ed è difficile credere che a Emmer non fosse chiara una situazione così spericolata.

“La ragazza in vetrina” e la censura. Aspettando il Cinema Ritrovato

Oltre ai brutali tagli della censura che hanno alterato la trama de La ragazza in vetrina, come quel “no kiss” pronunciato dalla prostituta ed eliminato snaturando il significato del finale del film, il direttore dello spettacolo presso il ministero propone a Emmer venti milioni (di allora) per rigirare una scena: “Suggeriva di lasciare apparire Marina Vlady completamente nuda e forse di mostrare l’amplesso al posto della castissima scena da me girata. A condizione che dopo l’amplesso lei scorgesse su un giornale la fotografia del giovane minatore, con la notizia che era rimasto sepolto nella miniera per tre giorni resistendo alla disperazione (…) la ragazza allora doveva mettersi a piangere, dicendo ad alta voce ‘Tu sei stato un eroe io sono una miserabile prostituta’. Per la chiesa cattolica il peccato della carne è il più venale – quello che conta e non si può infrangere è l’ipocrita moralismo”.