In La vita accanto, presentato fuori concorso al Festival di Locarno 2024, Marco Tullio Giordana ambienta una torbida vicenda familiare nello splendido scenario di una città d’arte, Vicenza, ingaggiando la maestosa bellezza delle architetture palladiane per fare da contrappunto alle miserie, alle fragilità e alle paure umane rappresentate.

Tratto dall’omonimo romanzo d’esordio di Mariapia Veladiano finalista al premio Strega 2011, il film si sviluppa attraverso diversi piani temporali, cioè nascita, fanciullezza e adolescenza di Rebecca, la protagonista, nata con una vistosa macchia rossa sul viso (che nulla toglie alla sua bellezza) su cui si catalizzano i pregiudizi e le psicosi familiari e sociali.

La macchia di Rebecca, metafora di una sorta di indicibile colpa che grava sulla famiglia d’origine che si scoprirà (forse) solo alla fine tramite uno sconfinamento nel regno onirico, è l’espediente narrativo per sviluppare i tanti, forse troppi temi affrontanti nel film quali la claustrofobia della provincia bigotta, il disagio psichico legato alla maternità, la paura della diversità, la forza salvifica dei legami autentici e delle passioni che riabilitano l’umano a una vita degna di essere vissuta.

Uno dei meriti del film di Giordana è di smascherare sin da subito la seduzione dell’utero materno e tutta la mistica della femminilità che vuole la donna naturalmente e obbligatoriamente madre (e moglie) felice, sotto l’assedio di una lunga opera di costruzione di modelli funzionali a un certo ordine patriarcale del mondo; questo meccanismo si inceppa subito dopo la nascita di Rebecca all’interno di un nucleo familiare agiatamente borghese e segretamente disfunzionale composto da Maria (Valentina Bellè) e Osvaldo (Paolo Pierobon), a cui si aggiunge l’ambivalente sorella gemella di lui, l’algida Erminia (una strepitosa Sonia Bergamasco), pianista di successo.   

Il lieto evento della nascita di Rebecca e l’apparente iniziale felicità si sgretolano giorno dopo giorno con l’incapacità da parte di Maria ad assumere il ruolo materno atteso, accentuandone le fragilità, mentre la macchia sul volto della figlia funge da detonatore e fa esplodere il disagio psichico della donna che cerca di occultare al mondo la sua creatura per sottrarla al giudizio malevolo della gente, mentre Osvaldo resta inerme ad osservare che la tragedia si compia.

Ma Rebecca, che scopre di avere un grande talento per il piano (in età adulta interpretata da Beatrice Barison, concertista di fama internazionale al suo esordio come attrice, che dimostra di saper entrare con naturalezza nei panni della giovane protagonista) è un personaggio femminile positivo che recupera la forza di uscire dalla gabbia soffocante di paure e ipocrisie in cui è stata rinchiusa suo malgrado.

Col supporto della luminosa compagna di banco Lucilla e della zia Ermina, che nel quotidiano prende ambiguamente il posto della figura materna, troverà nella musica un suo modo singolare di riscatto, una vita forse possibile lontano dalla morbosa realtà familiare.  

La narrazione poetica, asfissiante e, a tratti, disturbante del libro di Veladiano diventa un dramma familiare che mostra il lato oscuro della borghesia nel film di Giordana, il quale pur potendo contare su interpreti solidi che sviluppano efficacemente la complessità dei rispettivi personaggi, sceglie la strada di intricate soluzioni di sceneggiatura (di cui è autore insieme a Marco Bellocchio e Gloria Malatesta) realizzando una regia statica e distante dalle sue prove del passato più riuscite.