In Laughter, di Harry d'Abbadie d’Arrast, la giovane attrice Nancy Carroll interpreta Peggy, una ballerina che, raggiunto l’obiettivo di sposare un anziano banchiere milionario, Frank Morgan, non riesce a rinunciare al divertimento e alla sensazione di precarietà. Infatti continua a incontrare di nascosto Ralph, scultore promettente che è perdutamente innamorato di lei ed ha uno spiccato istinto suicida. E quando Paul, l’ex fidanzato di Peggy, si ripresenta nella vita della ragazza ecco che iniziano le vere evasioni dalla gabbia dorata in cui si è richiusa. Paul (Fredrich March) è un compositore squattrinato, ha sempre la battuta pronta, vive alla giornata e insegue il rischio, quindi tutto l’opposto del marito di Peggy. Tra il musicista e la ballerina inizia una relazione adulterina e parallelamente si sviluppa un’altra, e più tragica, storia d’amore, quella tra la figlia del banchiere Nancy e Ralph.

Laughter è una commedia romantica del periodo pre-code e all’interno del film sono disseminate sia scene in cui i personaggi abusano dell’alcol, sia momenti cardine in cui sono esposti molti degli aspetti considerati lascivi o “perversi”, soprattutto dalla morale cristiana, legati alla sfera della sessualità. Sebbene il film abbia una forte impostazione teatrale, anticipa la screwball comedy nella raffigurazione della dinamica della coppia formata da Nancy Carroll e Fredrich March. E nonostante la trama subisca eccessivi rallentamenti indirizzati al climax della storia, quest’ultima si regge su alcune idee originali che oscillano fra toni tragici e toni spassosi.

Lo sfarzo della residenza principesca del banchiere e di Peggy non è immediatamente palpabile e marcato come invece avrebbe voluto Herman Mankiewicz, qui in veste di produttore e forse anche di sceneggiatore. Ci sono tuttavia alcuni momenti o frasi avverse al concetto di opulenza, vista come entità misera sia socialmente che moralmente. Come quando Peggy dice al tassista di volere esclusivamente fare un giro senza alcuna meta, ma anche nel momento in cui Paul parla a cuore aperto alla ballerina e le ricorda quanto il lusso e il denaro non siano per loro così importanti quanto lo è il sorridere veramente. Questi concetti, a fondamenta della narrazione, sono immediatamente assimilabili alla letteratura di Francis Scott Fitzgerald. Infatti sono evidenti le somiglianze fra Peggy e la Daisy de Il grande Gatsby.

La tematica dello sfarzo e quindi la lotta all’interno di Laughter tra i ricchi capitalisti e gli artisti squattrinati si sposa a quello che Ernest Hemingway in Festa mobile scrive dei giovani della cosiddetta generazione perduta: “Tutto rientrava nella lotta contro la miseria che non si vince mai se non spendendo. Specie se compri quadri invece che vestiti. Ma allora non ci consideravamo mai poveri. Era una cosa che non accettavamo. Ci consideravamo esseri superiori, mentre ricche erano altre persone che guardavamo dall’alto in basso e nelle quali giustamente non nutrivamo fiducia.”. Così il film è il buffo ritratto di una generazione che possiamo solo vedere da lontano o in maniera languida o con la nostalgia alla Woody Allen.