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Essere donna e spia. “Gli amori di una spia” al Cinema Ritrovato 2021
Gli amori di una spia è una commedia di spionaggio, dove i meccanismi del genere sono sfruttati per movimentare l’obbligatoria trama sentimentale. Il soggetto del rifugiato ucraino Leo Birinski e la sceneggiatura di Herman Mankiewicz danno al film un ritmo sostenuto e anche divertente, ma tutt’altro che farsesco. Guerra, spionaggio e controspionaggio sono giochi seri e pericolosi, ma lo è anche l’amore – come impara a sue spese Mata Hariche che fuori campo tradisce il suo lavoro per un uomo e ne paga le conseguenze.
“Dancers in the Dark” al Cinema Ritrovato 2021
Il film è tratto dalla pièce teatrale Jazz King di James Ashmore Creelman. Dancers in the Dark di David Burton è una commedia senza grandi pretese e la sceneggiatura firmata da Herman J. Mankiewicz è contraddistinta da un umorismo piuttosto greve e inelegante. Gli episodi di cui si compone la narrazione principale non riescono a suscitare un grande interesse poiché, già dalla presentazione dei protagonisti, le svolte narrative sono tutte eccessivamente prevedibili. Inoltre le domande che rimangono senza risposta sono troppe ed è impossibile non dare peso a queste mancanze. L’intreccio fra Duke, Floyd e Gloria, interpretata da Miriam Hopkins, tende ad un finale piuttosto ordinario, ma divertente.
Sfumature di risate. “Gambe da un milione di dollari” e “Laughter” al Cinema Ritrovato 2021
La molteplicità di soggetti e generi in cui è coinvolto Herman Mankiewicz parla da sola della versatilità del multiforme personaggio, di cui la sezione del Cinema Ritrovato cerca di rendere conto con una varietà di film diversissimi tra loro. Gambe da un milione di dollari, prodotto da Herman e scritto da Joseph Mankiewicz, è una sgangherata farsa sentimentale e sportiva, dove in tutti i campi dell’esistenza regna la mancanza di regole, compreso lo sport, la società, la fisica. Se Gambe da un milione di dollari è vero e proprio cinema comico ridanciano, Laughter, a dispetto del titolo, è una commedia trattenuta con momenti sia drammatici sia screwball ante-litteram (esce nel 1930), senza la caotica follia degli esemplari successivi.
“Laughter” tra Hemingway e Fitzgerald
Sebbene il film abbia una forte impostazione teatrale, anticipa la screwball comedy nella raffigurazione della dinamica della coppia formata da Nancy Carroll e Fredrich March. E nonostante la trama subisca eccessivi rallentamenti indirizzati al climax della storia, quest’ultima si regge su alcune idee originali che oscillano fra toni tragici e toni spassosi. La tematica dello sfarzo e quindi la lotta all’interno di Laughter tra i ricchi capitalisti e gli artisti squattrinati si sposa a quello che Ernest Hemingway in Festa mobile scrive dei giovani della cosiddetta generazione perduta: “Tutto rientrava nella lotta contro la miseria che non si vince mai se non spendendo. Specie se compri quadri invece che vestiti. Ma allora non ci consideravamo mai poveri. Era una cosa che non accettavamo. Ci consideravamo esseri superiori, mentre ricche erano altre persone che guardavamo dall’alto in basso e nelle quali giustamente non nutrivamo fiducia.”
“Million Dollar Legs” e il piacere del comico
Il film è scandito da una frenetica serie di gag slapstick, meno raffinate ed elaborate di quelle di Keaton e più improntate verso la comicità alla Stan Laurel e Oliver Hardy e quindi alle cosiddette “torte in faccia” alla Mack Sennett. Così il protagonista di Million Dollar Legs è un onesto lavoratore come il personaggio di Keaton, ma la chiave del film è nel ribaltamento, all’interno del testo, della condizione ordinaria di un mondo già di per sé straordinario perpetrato dall’insieme dei personaggi, che è avvicinabile alla comicità dei fratelli Marx. Questo si deve soprattutto alla scrittura della sceneggiatura ad opera di Joseph L. Mankiewicz, che si sposa bene alla regia di Eddie Cline.
Un truffatore dolente. “Man of the World” di Richard Wallace e Edward Goodman
La sezione dedicata a Herman Mankiewicz è stata, nelle parole del direttore Gian Luca Farinelli, la più complicata da mettere insieme, nonché l’ultima ad essere completata per questa edizione 2021 del Cinema Ritrovato. Come ha ricordato il curatore Philippe Garnier, è praticamente impossibile fissare in una manciata di film la carriera del poliedrico sceneggiatore, che disprezzava il suo ruolo ed era anche e soprattutto “story editor”, cioè impegnato a correggere, ritoccare, rimontare insieme gli scritti di altri. Difficile dunque rintracciare con precisione l’entità del suo apporto ai tantissimi film con cui ha collaborato, con alcune eccezioni: la pellicola che ha aperto la rassegna, Man of the World, è senza dubbio una sceneggiatura firmata da Mankiewicz.
“Mank” film bergsoniano
Per molti aspetti Mank è un’opera in serie, nel senso che continua a moltiplicare l’icona wellesiana su Netflix dopo The Other Side of the Wind e Mi ameranno quando sarò morto, rafforzando di conseguenza il sistema produttivo e distributivo di una piattaforma sempre più autoriale; questo nuovo racconto sullo star system mostra la superficie ovattata e conflittuale di una Hollywood fallocentrica e prova a spiegarci la nascita della sceneggiatura di Quarto potere senza però creare quegli affondi registici che hanno connotato in passato le letture ben più stratificate e profonde di Fincher. Mank è una piacevole divagazione poetica in bianco e nero, un biopic di pregevole fattura calato mimeticamente negli anni della Golden Age hollywoodiana, riportata in vita con suggestivi effetti sonori e scenografici d’epoca.
“Mank” tra scrittura e tradimento
La stesura del famoso copione diventa un’occasione per procedere a ritroso nel tempo nella vita dello sceneggiatore, alla ricerca dei motivi che portarono Mankiewicz a scrivere un film sul magnate americano William Randolph Hearst. Ma l’intento di Fincher è tutt’altro che biografico. “Come dice lo scrittore – ricorda Houseman allo sceneggiatore durante una delle tante visite per controllare l’avanzamento dei lavori – racconta la storia che conosci”. “Io – risponde Mankiewicz – non conosco quello scrittore”. Eppure il regista sembra volerci avvertire fin dall’inizio come – sia nella storia raccontata da Mankiewicz sia in quella che lo stesso regista sta raccontando – i confini tra realtà e finzione possano a tratti sfumare l’uno nell’altro.