C’è un nome che si staglia tra i produttori di Hustlers, che in Italia uscirà con il discutibile titolo Le ragazze di Wall Street – Business is Business. È quello di Adam McKay, autore che da La grande scommessa in poi ha imposto un modello di commedia “progressista” che restituisce temi alti o ardui in forma accessibile e seducente facendo collimare narrativa e saggistica, mediazione romanzesca e fervore documentaristico, retaggio comico e tendenza all’inchiesta. E troviamo il prolifico McKay anche dietro l’inclusivo e formativo La rivincita delle sfigate, ottimo esordio alla regia di Olivia Wilde. Basato su una storia vera, Le ragazze di Wall Street è scritto e diretto da Lorene Scafaria (in un primo momento si era pensato a Martin Scorsese, che a dire il vero è uno spettro che qua e là ricorre, perfino nel titolo italiano tra quelle brave ragazze e il lupo di Wall Street…). Al terzo lavoro da regista dopo Cercasi amore per la fine del mondo e The Meddler, parte da un articolo della reporter Jessica Pressler mantenendo l’impianto incardinato sull’intervista alla protagonista.

Destiny (l’emergente Constance Wu), diventata spogliarellista in un rinomato strip club newyorkese, entra nelle grazie dell’esplosiva Ramona (strepitosa Jennifer Lopez nel ruolo della vita), la stella del locale che le insegna i trucchi per conquistare la facoltosa clientela, composta principalmente da uomini di Wall Street (“pagarti è la transazione finanziaria più onesta della loro giornata”, sentenzia la mentore). Dopo la crisi finanziaria del 2008, crolla anche il club, in cui lavorano ormai solo immigrate disposte a prostituirsi. Così, per uscire dall’empasse economica, Ramona arruola Destiny e altre spogliarelliste per mettere su uno schema fraudolento: accalappiare ricconi al bar, farli ubriacare, drogarli con un mix di ketamina e MDMA per far sì che perdano conoscenza e cognizione delle proprie azioni, portarli nel club, spennarli e rimandarli a casa. Se il sistema è corrotto, perché non sfruttarlo fino in fondo? La truffa funziona alla grande finché qualcosa va storto.

Nella grande narrazione già decennale della crisi finanziaria, Le ragazze di Wall Street è un tassello tra i più intriganti. Non solo perché costituisce un esaltante incrocio tra l’ascesa criminale di una ragazza del ceto medio-basso travolta dall’estasi tossica dei soldi facili e l’affresco socio-culturale di un mondo raccontato con un palpabile senso della fine, come si vede nel clamoroso momento in cui il rapper arriva nel locale lanciando banconote in aria e tutte le spogliarelliste si esibiscono appagate e compiaciute. Ma anche perché, con una notevole profondità nel definire contesti e psicologie senza moralismi né indulgenze, ha una capacità di farci immergere in un film feroce, divertente e vorticoso, fondato sulla polisemia del desiderio (il sesso non consumato, l’erotismo del denaro, i feticci del consumismo di lusso, la suggestione lesbica) in un orizzonte dove gli uomini sono stupidi bancomat, violenti predatori, padri assenti.