Tre amiche di scuola, dopo la maturità, si trovano in barca lungo la costa croata in vacanza premio. Non riescono né a vivere l'ambiente circostante, né a comunicare fra loro in una modalità che vada oltre il chiacchiericcio, tutte proiettate in un altrove reso possibile dal banale utilizzo dei loro smartphone: Lavinia (Blu Yoshimi) e Danila (Angela Fontana) sono ossessionate dall'auto-rappresentarsi su Instagram, Carla (Denise Tantucci) si distacca dalle altre per maggiore posatezza e capacità di interagire con il presente, ma non può prescindere comunque dal contatto col fidanzato lasciato a casa. Pian piano le promesse di felicità e realizzazione di sé dei social fanno emergere invece paure, avvilimenti e desideri di rivalsa.

C'è, nell'opera seconda di Leonardo Guerra Seragnoli dopo Last Summer, l'intento evidente di un racconto morale che vuole farsi anche insight generazionale. E, nonostante qualche schematismo di troppo (possibile che alle protagoniste non passi per la testa nemmeno un semplice “Che bel paesaggio”?) Likemeback riesce nei suoi intenti in maniera convincente e sottilmente dolente, con un senso di angoscia che non abbandona neanche dopo ore dalla visione. E ci riesce soprattutto perché rifugge dalla facile rappresentazione dei devices elettronici come l'origine di ogni male, e li usa invece come catalizzatori e detonatori di un malessere esistenziale che sarebbe lì in ogni caso, connaturato in qualsiasi essere umano sulla soglia dell'età adulta, senza ancora un posto nel mondo. E non è ovviamente un caso che Carla, il “genio” bravo a scuola e con un fidanzato che la cerca spesso, sia quella più indifferente al mondo social e quella che verrà punita più severamente dalle frustrazioni altrui.

È proprio l'acuta resa di dinamiche psicologiche fra personaggi che non si dicono alcunché di rilevante la parte più interessante del lavoro di Guerra Seragnoli, coadiuvato da un trio di interpreti da tenere d'occhio, e dalla scelta dell'ambientazione su una piccola barca, da Il coltello nell'acqua in poi luogo d'elezione per far sobbollire le micro-tensioni fra individui (anche se, fuor di artificio retorico, non è granché spiegabile che ragazze ossessionate dal fatto di apparire decidano di far baldoria nella situazione più appartata che esista).

E non trascurabile la riflessione fatta sui corpi, corpi belli e giovani filmati inizialmente con la stessa insistenza lasciva con la quale le protagoniste decidono di offrirli in pasto allo sguardo altrui su Instagram pur di esistere, e che progressivamente si caricano di pensieri, sofferenze, de-valorizzazioni di sé, aumentando di forza attrattiva invece di diminuire. La lezione di Abdellatif Kechiche non è passata invano, e per fortuna.