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Una società sul bordo del precipizio. Intervista a Leonardo Guerra Seragnoli
Gli indifferenti porta in grembo, grazie anche alla sua matrice esistenzialista, alcuni scorci e taluni tratti caratteristici che si accordano bene alla nostra quotidianità. Deve aver pensato qualcosa di simile Leonardo Guerra Seragnoli, che per il suo terzo lungometraggio si è misurato con il romanzo in questione, trasponendolo proprio ai giorni nostri: un adattamento complicato e coraggioso, perché coniugare il confronto con un caposaldo della letteratura italiana e allo stesso tempo coglierne i suoi tratti di continuità storico-sociale era un’operazione in qualche modo rischiosa. L’abbiamo raggiunto virtualmente, per porgli tutte le domande del caso.
“Gli indifferenti” e lo spaesamento delle epoche
Com’è ovvio vista la distanza ormai quasi secolare che la separa dal romanzo, la nuova versione di Leonardo Guerra Seragnoli opera una più decisa ri-attualizzazione delle dinamiche borghesi narrate da Moravia. Apparentemente in contrasto con questo assunto, la scelta di non stravolgere più di tanto il testo originale denuncia da una parte l’allineamento alla fiducia dello stesso autore nella trasversalità del suo potere di disamina sociale, dall’altra – quasi a conferma della natura bifronte di questo classico del nostro novecento – è indizio decisivo della volontà da parte degli autori di porre in parallelo le classi agiate di due epoche lontane, tanto imparagonabili quanto accomunate da uno stesso frastornante, sismico senso di spaesamento.
“Likemeback” e la sofferenza sottile
C’è, nell’opera seconda di Leonardo Guerra Seragnoli dopo Last Summer, l’intento evidente di un racconto morale che vuole farsi anche insight generazionale. E, nonostante qualche schematismo di troppo, Likemeback riesce nei suoi intenti in maniera convincente e sottilmente dolente, con un senso di angoscia che non abbandona neanche dopo ore dalla visione. E ci riesce soprattutto perché rifugge dalla facile rappresentazione dei device elettronici come l’origine di ogni male, e li usa invece come catalizzatori e detonatori di un malessere esistenziale che sarebbe lì in ogni caso, connaturato in qualsiasi essere umano sulla soglia dell’età adulta, senza ancora un posto nel mondo.