Resta un mistero come Federico Fellini riesca a dipingere in modo così netto eppure così sfumato la compenetrazione tra verità e fantasia, tra mondo reale e mondo fantastico. Ad ogni visione dei suoi film si resta meravigliosamente affascinati da quel tocco che riesce a farci percepire la magia dei sogni e al contempo la crudezza della realtà.

Il restauro de Lo sceicco bianco, prima tappa ufficiale del progetto “Fellini 100” che l’anno prossimo omaggerà il regista riminese per i cento anni della nascita, ha permesso agli spettatori della 76. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di emozionarsi (ancora) per il primo film diretto in solitaria da Fellini (il precedente Luci del varietà era co-diretto con Alberto Lattuada). Pare incredibile ma nel 1952 la pellicola non suscitò gli entusiasmi della critica: la narrazione delle (dis)avventure di una coppia di sposini in luna di miele a Roma fu da alcuni giudicata grezza e grossolana. Oggi nella semplicità di quella storia possiamo leggere un’anticipazione di tutto l’universo felliniano che si arricchirà nei film successivi. Come ha ricordato nella sua introduzione alla proiezione il direttore della Cineteca di Bologna Gian Luca Farinelli, ne Lo Sceicco bianco troviamo interpreti (Alberto Sordi, Giulietta Masina), personaggi (Cabiria) e luoghi (Roma) che ritorneranno molte volte nei capolavori di Fellini. E, soprattutto, individuiamo già l’esplorazione di alcuni temi cari al regista: il mondo dello spettacolo come realtà parallela, la malinconia della felicità, il rapporto tra arte e vita.

Il dualismo emerge già qui come elemento fondante della poetica felliniana: non appena i due protagonisti (Brunella Bovo e Leopoldo Trieste) arrivano nel loro albergo a Roma, il film si divide in due storie parallele, una per ogni personaggio. Mentre lei, praticamente “rapita” dalla troupe, si perde in un mondo fantastico seguendo il suo attore di fotoromanzi preferito (Alberto Sordi), lo sposo deve gestire i parenti ansiosi di conoscere la donna, senza rivelare che non ha idea di dove ella sia per non perdere l’onore e non compromettere il nome della famiglia. E così, se l’ingenuità di Wanda ci fa sorridere e anche un po’ immalinconire per la sua convinzione che la vita “vera” sia quella che trova nei fotoromanzi, il panico di Leopoldo Trieste e la sua mimica facciale ci lasciano ammirati dalla bravura di questo gigante pur se realmente coinvolti dalle difficoltà che il personaggio sta affrontando, mentre il graduale svelamento della vera natura di Tiziano Rivoli (Alberto Sordi) ci permette di empatizzare con Wanda perché viviamo insieme a lei la rottura dell’illusione.

Il velo si squarcia e la realtà irrompe nella vita, ma quanta magia c’è in quell’altalena tra gli alberi? E quanto amore per lo spettacolo traspare dalla sequenza in cui si scattano le fotografie del foto-romanzo? Naturalmente l’ambiente del set fotografico nasconde molteplici riferimenti al set cinematografico, con un regista/despota disperato in cui non è difficile intravedere lo stesso Fellini. Infatti, tutto è ovviamente avvolto da un’ironia e un umorismo che non hanno l’effetto di sminuire la vicenda, anzi: essi contribuiscono a mantenere quel perfetto “equilibrio instabile” da cui sono caratterizzati tutti i film di Fellini (si pensi anche solo a La strada o a I Clowns).

Storia di uno smarrimento esistenziale trattato con leggerezza ma non con superficialità, Lo sceicco bianco ci fa riflettere sulla perenne capacità del mondo dello spettacolo di assorbirci completamente e anche (o forse soprattutto) sulla nostra incapacità di opporci a questa attrazione, guidati – consapevolmente o meno – dal nostro desiderio di perderci in un altrove fantastico.