Suspiria è un film che segna una svolta importante all’interno della carriera di Dario Argento. Se Profondo rosso era stata l’opera di passaggio dal thriller ad alta tensione di matrice poliziesca all’horror metafisico, con Suspiria il regista romano trova la propria consacrazione come creatore di mondi in cui realtà e fantasia si fondono creando atmosfere dense di terrore. Un aspetto fondamentale a tal fine è rappresentato dalla collaborazione tra Argento ed il direttore della fotografia Luciano Tovoli.

Noto principalmente per le sue collaborazioni con Michelangelo Antonioni, Tovoli si trovò proprio con Suspiria ad avere a che fare per la prima volta con il genere horror. Ciò rappresentò una sfida non indifferente per un artista che mai aveva preso parte ad una produzione di questo tipo, ma d’altro canto si rivelò anche motivo di fascino per la gamma di possibilità che un genere fantastico poteva offrire dal punto di vista visivo.

Tovoli è, infatti, uno dei grandi sostenitori dell’importanza del ruolo drammaturgico attribuibile al colore all’interno di un’opera cinematografica; in questo film ebbe il via libera per poter sperimentare degli accostamenti cromatici che non sarebbero stati apprezzati in pellicole appartenenti ad altri generi.

Quello che si può ammirare nel capolavoro di Dario Argento è quindi un utilizzo non naturalistico di luci e colori, ma una serie di contrasti che servono a evidenziare lo stato emotivo dei personaggi, instillando contemporaneamente una forte sensazione di angoscia nello spettatore. Ciò fu reso possibile anche grazie all’intuizione tecnica tramite la quale il direttore della fotografia ha deciso di gestire la diffusione della luce nelle varie scene.

Anziché utilizzare le ormai eccessivamente diffuse gelatine colorate che garantivano un’illuminazione statica, Tovoli decise di filtrare la luce dei “bruti”(gli imponenti fari in grado di generare fasci luminosi di grande intensità) attraverso dei teli di velluto, in modo da ottenere una maggiore “liquidità” nella diffusione del colore sulle varie superfici. Il che si sposò perfettamente con l’intento, pienamente condiviso dallo stesso Argento, di plasmare un ambiente che si distaccasse dalla realtà, concorrendo alla creazione di un mondo quasi surreale. Luci e colori, quindi, acquistano in Suspiria il ruolo di veicoli narrativi, quasi fossero dei personaggi informi che accompagnano gli attori all’interno di ogni scena.

Un esempio estremamente calzante di ciò che si intende per utilizzo drammaturgico della componente cromatica è mostrato nella potentissima sequenza finale, nella quale la svolta del film trova in un espediente squisitamente visivo la propria realizzazione. Un’opera epocale, che a quarant’anni dalla sua uscita possiede ancora il potere di affascinare e terrorizzare gli spettator grazia alla forza delle proprie immagini, le quali furono in grado attribuire una nuova dimensione alla rappresentazione dell’orrore.