“Voglio scrivere per non urlare nel silenzio della notte”: Ute Lemper - attrice e cantante tedesca da sempre impegnata nel ricordo dell’Olocausto – presta la voce alle tante testimonianze scritte che fanno da contrappunto alo scorrere delle immagini di Ma vie en Allemagne au temps de Hitler, documentario di Jérôme Prieur sui tedeschi fuggiti dal loro paese in seguito all’ascesa al potere di Adolf Hitler. Presentato in anteprima il 28 giugno al Memoriale della Shoah di Parigi, il film è stato proiettato il giorno successivo al “Cinema Ritrovato” di Bologna alla presenza dello stesso regista e del direttore della Cineteca Gianluca Farinelli.

Come ha spiegato durante la presentazione, dopo alcune letture di testimonianze sulla “notte dei cristalli”, Prieur ha voluto approfondire l’argomento studiando l’inchiesta di tre professori dell’Università americana di Harvard che nel 1939 avviarono un’indagine su cittadini tedeschi, per lo più di origini ebree, che erano fuggiti dal loro paese negli anni ’30: ebrei ma anche protestanti, cattolici, senza religione, oppositori politici, dissidenti di qualsiasi tipo. A queste persone, fuggite poi in ogni angolo del mondo, fu chiesto di descrivere le loro vite in Germania prima e dopo il 30 gennaio 1933 e di rispondere ad un questionario sui motivi del loro esilio. Oltre 300 pagine scritte in inglese e tedesco: un fondo ricchissimo e dimenticato che, come ha sottolineato il regista, ha un potente valore storico ed evocativo.

Il documentario racconta quindi, attraverso una selezione di queste testimonianze e di toccanti immagini d’epoca, la vita quotidiana dei tedeschi nelle città e nelle campagne a partire dal 1931. E mentre la voce di Ute Lemper riporta in vita le storie di uomini e donne, di ogni età e di ogni professione (operai, professori, giornalisti, commercianti, studenti), le immagini amatoriali ci immergono nella loro vita di ogni giorno. Non ritroviamo nessuna di quelle immagini registrate dalla propaganda che siamo abituati a vedere - seppur scisse dalla loro vocazione originale - sul grande schermo, ma assistiamo a riprese non professionali, per lo più in bianco e nero ma con qualche incursione di colore, dal sapore estemporaneo e familiare e proprio per questo ancora più significative. All’inizio quello che trapela è il fermento sociale e culturale tedesco degli anni ’30, quella voglia di svago e divertimento che facevano da contraltare alle preoccupazioni per la grande depressione globale e agli strascichi delle condizioni del trattato di Versailles: cittadini seduti ai caffè o in visita ai parchi di divertimento, giovani donne tedesche vestite all’ultima moda, il grande successo dei tanti spettacoli teatrali e musicali, il cinema che proietta capolavori dell’espressionismo tedesco, come M - Il mostro di Düsseldorf di Fritz Lang. Ma poi le immagini ben presto ci mostrano come a raccogliere e dare corpo ai sentimenti di malessere sociale e ingiustizie economiche arrivi il partito nazionalsocialista. Vediamo le prime apparizioni in pubblico di Hitler, i manifesti elettorali, la costruzione del consenso. Fino a quando il 30 gennaio 1933 il presidente Paul von Hindenburg nomina Hitler cancelliere della Germania.

Inizia così la “rivoluzione culturale” hitleriana e la volontà di eliminazione dei cittadini di origini ebree e dei dissidenti dalla società tedesca. In un crescendo di incredulità e preoccupazione, i protagonisti dell’inchiesta riportano la propria testimonianza del lento ma inesorabile allineamento di tutta la società tedesca al pensiero nazista, fino alla spaventosa “notte dei cristalli” del novembre 1938. La ferocia inaudita, la violenza, l’accanimento di quella notte -e delle tante a seguire - contro uomini, donne, bambini ci sembrano appartenere ad un passato lontano ma risalgono in realtà solo ad 80 anni fa. E fra i tanti pregi del documentario di Prieur c’è indiscutibilmente anche quello di restituirci attraverso queste immagini così familiari – una sposa in abito bianco che gioca con le amiche, un uomo di mezza età che si fa la barba, una madre che gioca con la figlia neonata - l’immediatezza e l’attualità di queste storie, che sentiamo vicine, quasi senza tempo e senza luogo. E per questo ancora più potenti nel loro monito silente.

Non possiamo rimanere indifferenti davanti a queste testimonianze, alla storia di Helga per esempio, che tornando a casa da scuola, racconta della compagna tedesca figlia di ebrei che è stata calpestata dalle amiche. Un piccolo litigio fra bambine, la caduta a terra della piccola ebrea, il pestaggio che la maestra non ferma ma quasi incoraggia, la banalità del male, la morte di una innocente. E l’incredulità e lo stupore di Helga che, raccontando l’accaduto alla mamma, confessa di aver partecipato al massacro: “È morta ma prima noi le volevamo bene”.