Con i film in programma nella seconda parte della rassegna “Marco Ferreri ritrovato” abbiamo potuto seguire l’evoluzione del percorso del regista lungo un arco temporale che parte dal 1967 di Break Up – L’uomo dei 5 palloni, passa per La grande abbuffata (1973) e arriva a Diario di un vizio (1993), tre film che ad un primo sguardo paiono molto diversi e che rivelano invece, di nuovo, un’uniformità di sguardo e di approccio al reale.

Con queste opere infatti sembra che Ferreri abbia voluto portare alle estreme conseguenze quella tensione tra individuo e collettività su cui si è basato da subito il suo cinema: egli vuole definire sempre più nel dettaglio l’impossibilità dell’uomo di realizzarsi nel mondo contemporaneo, l’impossibilità – che già avevamo messo in luce nei film precedenti – di trovare un posto o comunque di adattarvisi. Quello di Ferreri è certamente uno sguardo cinico, che può facilmente degenerare nel disprezzo per la società: eppure fotografa uno status quo, addirittura anticipando alcune caratteristiche del mondo di oggi.

Se non può sfuggire il rapporto tra cibo, sesso e morte, presente con evidenza in tutti e tre questi film, è da sottolineare come essi siano anche accomunati dal tema dell’ossessione, dalla meticolosa ricerca della soddisfazione di un piacere. Il protagonista di Break Up (primo ruolo per Mastroianni nel cinema di Ferreri) diventa ossessionato dalla quantità di aria che può soffiare in un palloncino prima di farlo scoppiare, chiarissima metafora dell’alienazione dell’individuo nella società moderna causata dal lavoro e dalla relazione uomo/donna che portano l’essere umano ad esplodere.

I personaggi della Grande abbuffata decidono di suicidarsi mangiando allo sfinimento pietanze di altissima cucina, in un vortice erotico-gastronomico che li sottragga alle loro squallide vite borghesi, vite in cui non possono esprimere sé stessi. L’“uomo senza qualità” interpretato da Jerry Calà in Diario di un vizio annota maniacalmente i suoi squallidi incontri sessuali accanto alle pietanze assunte e alla regolarità o irregolarità delle funzioni fisiologiche (alternanza sonno/veglia), in una vera e propria anamnesi di ciò che possiamo leggere come il decorso di una malattia esistenziale.

L’intelligenza di Ferreri è di una lucidità agghiacciante ma anche di una maestria sopraffina: riesce infatti ad adattare la forma della sua opera al racconto che sta portando avanti. In Break Up inserisce una frastornante sequenza a colori che stordisce lo spettatore proprio come la festa piena di palloncini stordice Mastroianni; la raffinatezza curatissima delle scenografie, degli arredi di scena e dei costumi della Grande abbuffata riflette l’estetismo quasi decadente che gli amici protagonisti ricercano nel loro soggiorno di addio alla vita nella villa in campagna; la linearità schematica, ripetitiva e inesorabile del racconto di Diario di un vizio rende perfettamente l’angoscia esistenziale che si muove sottotraccia nell’animo di Jerry Calà.

Per tutti questi personaggi non c’è scampo nel mondo moderno, non c’è cura, non c’è possibilità di sopravvivenza: soltanto la follia, il suicidio, la morte possono attenderli alla fine. Né l’amore di una donna (Break Up), né il piacere sensuale/sessuale (La grande abbuffata) né  la scienza o la medicina (Diario di un vizio) possono salvare l’uomo ormai fagocitato dalla società dei consumi, dalla routine borghese, dalla volgarità imperante, dalla mercificazione del corpo, dalla reificazione del soggetto.