C'è stato un momento, intorno alla metà degli anni Novanta, in cui Mario deve essersela vista particolarmente brutta. L'evoluzione tecnologica, e con essa l'evoluzione dei gusti del pubblico, stava determinando un passaggio – epocale, col senno di poi – dalle due alle tre dimensioni. Un passaggio che, in verità, era iniziato già da tempo e che non ha mai decretato il pensionamento del 2D. Lo stesso genere che aveva reso celebre Mario, il platform, si era dato alle tre dimensioni nel 1990 con Alpha Waves della Infogrames e nel 1995 con Jumping Flash!, titolo di lancio di PlayStation.

Super Mario 64, pubblicato nel 1996, traghettò Mario nelle tre dimensioni: per la prima volta l'idraulico italiano non correva più da sinistra a destra, ma era libero di muoversi in profondità. Una rivoluzione che, sulla carta, deve aver spaventato parecchio Mario (e probabilmente anche i giocatori). In molti davano per spacciata la mascotte Nintendo, come dar loro torto. Aggiungere una dimensione a una formula ormai collaudata non era solo rischioso ma, sotto certi punti di vista, persino blasfemo. Oggi, critica e giocatori riconoscono all'unanimità l'importanza storica di Super Mario 64: un capolavoro di indubbia qualità. Chi parla di Super Mario 64, tuttavia, accantona un aspetto non meno rilevante: Mario avrebbe potuto non farcela. Il terrore che oggi lascia spazio all'acclamazione merita più di qualche riflessione.

Apriamo un volume di storia del cinema, per esempio il classico Bordwell & Thompson che ha formato generazioni di studenti. Il passaggio dall'epoca del muto al sonoro viene fatto coincidere con l'uscita nelle sale cinematografiche di Il cantante di jazz. Anche in questo caso si tratta di una scelta dettata dalla comodità. C'erano già stati esperimenti precedenti in tal senso, ma Il cantante di jazz è il primo lungometraggio ad annoverare sequenze cantate e dialoghi. Un successo commerciale, più che di critica, che segnò l'inizio del declino del cinema muto. Quando è nato il cinema sonoro? Nel 1927. Rappresentò la fine del muto? No. Quantomeno, non per Charlie Chaplin.

Luci della città, del 1931, è un film (ancora) muto. Modern Times, e già correva l'anno 1936, è un film muto (sebbene entrambi i film contengano sequenze sonore). Il fatto che si debba attendere fino al 1940, e l'uscita nelle sale di Il grande dittatore, per poter assistere al primo vero film parlato di Chaplin la dice lunga sul forte legame tra il personaggio del vagabondo e la pantomima.

Charlot e Mario sono stati al centro di un passaggio epocale che ha coinvolto i rispettivi media di appartenenza. Due icone rappresentative di due visioni del mondo a prima vista superate dal progredire della tecnica. Charlot e Mario sono simulacri assurti alla dimensione di icone, creati ad hoc da due autori, Charles Chaplin e Shigeru Miyamoto. Uno nato a Londra alla fine dell'Ottocento, l'altro vicino a Kyoto nel 1952. Se è sicuro che Chaplin non abbia mai giocato a una delle avventure di Mario, è invece assai probabile che Miyamoto abbia visto, da ragazzo, alcune delle comiche di Charlot.

Interrogato a tal proposito, Miyamoto ha negato qualsiasi forma di ispirazione a Charlot durante la creazione del personaggio di Mario. Eppure, quelle corse segnate da cambi di direzione così prossemicamente marcati, l'immancabile calcio nel sedere al bruto di turno, o ancora quelle sessioni di aggraziato pattinaggio, sono tutti piccoli dettagli che accomunano i nostri beniamini. C'è poi un aspetto esteriore che, baffi e cappello al seguito, dimostra più di qualche somiglianza. Persino nell'analizzare spalle e antieroi emergono alcune sorprendenti analogie. Se Buster Keaton è stato a lungo rivale di Charlie Chaplin, prima di ritrovarsi al suo fianco in Limelight, anche Sonic, l'acerrimo antagonista di Mario, ha ceduto infine alle lusinghe della convivenza.

Charlot e Mario sono emblema di un superamento: entrambi hanno oltrepassato quelli che erano in apparenza ostacoli, con l'intenzione di reinventarsi e continuare a (soprav)vivere. Due ostacoli, in particolare, che rispondono al nome di parola e spazio. Mica bruscolini, nemmeno per i nostri due eroi. In un ipotetico finale digitale di un'avventura non ancora scritta, Mario potrebbe dare un bel calcio nel sedere a quella monella di Paulette Goddard, prendere il suo posto accanto a Charlot e incamminarsi con lui verso l'orizzonte.