Andrea Dresseno
Mario e Charlot: due icone a confronto
Charlot e Mario sono stati al centro di un passaggio epocale che ha coinvolto i rispettivi media di appartenenza. Due icone rappresentative di due visioni del mondo a prima vista superate dal progredire della tecnica. Charlot e Mario sono simulacri assurti alla dimensione di icone, creati ad hoc da due autori, Charles Chaplin e Shigeru Miyamoto. Uno nato a Londra alla fine dell’Ottocento, l’altro vicino a Kyoto nel 1952. Se è sicuro che Chaplin non abbia mai giocato a una delle avventure di Mario, è invece assai probabile che Miyamoto abbia visto, da ragazzo, alcune delle comiche di Charlot. Interrogato a tal proposito, Miyamoto ha negato qualsiasi forma di ispirazione a Charlot durante la creazione del personaggio di Mario. Eppure, quelle corse segnate da cambi di direzione così prossemicamente marcati, l’immancabile calcio nel sedere al bruto di turno, o ancora quelle sessioni di aggraziato pattinaggio, sono tutti piccoli dettagli che accomunano i nostri beniamini.
Netflix e la paura dell’infinito
Netflix si basa sui concetti di sovraccarico e illimitatezza. Concetti che oggigiorno vendono benissimo – poter avere tutto, più di quanto ci serva, in qualsiasi momento – ma che forse funzionano maggiormente con testi finiti, circoscritti, quantificabili, come sono appunto i film. Per testi così malleabili dal punto di vista della fruizione, legati alle abilità e all’investimento temporale dell’utente, la formula in abbonamento non rischia di essere inconsciamente angosciante? Li vogliamo davvero millemila giochi che possono durare ognuno millemila e più ore, sempre pronti all’uso? E se fosse infine l’utente, lasciato a se stesso, a cercare la propria via, a recuperare in autonomia l’opera tanto desiderata? In quel caso, il momento della fruizione potrebbe beneficiare dell’impegno investito per arrivare all’obiettivo. Come ai vecchi tempi.