Dopo l’incursione cinematografica della serie Pipì, Pupù e Rosmarina da lui stesso creata, Enzo D’Alò si cimenta nuovamente con il grande schermo a oltre dieci di distanza dal suo progetto precedente, Pinocchio (2012). Per farlo, torna a lavorare su quella che ormai sembra essere una caratteristica inossidabile della sua filmografia, ovvero la trasposizione di un testo letterario di grande respiro. Archiviate così le trasposizioni di Collodi, Rodari, Ende e Sepulveda, il regista partenopeo guarda ora all’Irlanda trovando in Roddy Doyle la penna con cui confrontarsi.
È il medesimo autore del celebre The Commitments, ma D’Alò sceglie di scavare più in profondità nella produzione del romanziere e si concentra su La gita di mezzanotte, romanzo di formazione che racconta le disavventure di una preadolescente consapevole di avere ancora poco tempo da trascorrere insieme all’amata, ma malata, nonnina.
Bastano questi pochi cenni di trama per comprendere quanto Mary e lo spirito di mezzanotte sia calato nelle corde di D’Alò. Sembra quasi che il testo sia stato concepito proprio in vista di un suo progetto tanto risulta essere coerente con la sua poetica. Il tema del lutto, della crescita, del rito di passaggio, della relazione tra generazioni distanti e la presenza di una protagonista risoluta e caparbia sono tutti elementi che l’autore ha già avuto modo di seminare nei lavori precedenti.
Eppure, se il film potrebbe risultare meno originale o coraggioso di altri, finisce presto per rivelarsi come uno dei più maturi e centrati nella carriera del regista. Tutto è equilibrato, posato, dosato. I rischi e le trappole sono disseminati dal primo all’ultimo minuto, ma la pellicola procede con mano sicura, solido nella sua giusta dose di retorica e abile nel raccontare ben quattro diverse generazioni di donne.
D’Alò sa bene di avere tra le mani del materiale ottimo per la sua sensibilità. Dunque, con la giusta esperienza maturata in carriera, rilancia la sfida concentrandosi, come forse mai fatto in maniera così ambiziosa sino a oggi, sulla forma del suo film. L’animazione di Mary e lo spirito di mezzanotte ha un sapore internazionale. Non solo per via dell’ambientazione irlandese o per le numerose coproduzioni che hanno partecipato al progetto, ma proprio per la fluidità del tratto e la complessità della regia.
Si abbonda di colori, sfumature, forme curvilinee e profondità di campo: il ritmo interno a ogni inquadratura è la spia di un lavoro minuzioso con il quale il regista segna un precedente netto nella sua filmografia e di cui, il pubblico italiano, non può che andare orgoglioso. Ci voleva.