Fra la realizzazione di due dei suoi film di maggior successo - La signora Miniver (1942) e I migliori anni della nostra vita, entrambi pluripremiati agli Oscar rispettivamente con 6 e 7 statuette – il regista William Wyler si arruola nell’esercito americano diventando maggiore dell'Aviazione Militare Americana (United States Army Air Forces). Originario dell’Alsazia Lorena e di famiglia ebrea, Wyler non nutre dubbi sulla necessità di fermare la Germania nazista e nel ’43 viene inviato a Londra, come il collega John Ford, per documentare le azioni militari sul fronte britannico. Qui riceve l’incarico che sogna da un po’ di tempo: girare un documentario sull’equipaggio di un boeing B17 alla sua 25a missione: il Memphis Belle. Wyler prende lezioni di volo per filmare in alta quota il bombardamento aereo previsto sulla cittadina di Wilhelmshaven, in Germania. Non vuole mostrare una versione stilizzata della guerra e non vuole risparmiarsi nulla (qualche anno più tardi durante una missione di volo perde l’udito in modo permanente). Sa che se il suo aereo venisse colpito e dovesse paracadutarsi su suolo tedesco, a lui - di origine ebrea - non sarebbe riservato lo stesso trattamento dei colleghi americani.
Il documentario si apre con le bucoliche immagini a colori della campagna inglese, prima da terra e poi dall’alto. Compaiono i campi coltivati e ordinati, quegli stessi campi curati in cui Wyler aveva ambientato il suo La signora Miniver. Il film si chiudeva nella chiesa del villaggio inglese con un sermone del vicario che esortava i cittadini alla resistenza e alla lotta contro il nemico tedesco (quello stesso sermone fu poi stampato in migliaia di copie e diffuso nei territori occupati per iniziativa del presidente Roosevelt). Ma ben presto alle immagini idilliache si sostituiscono quelle di guerra. La Bella di Memphis vola in alto, verso la Germania, “così in alto - dice la voce off che si rivolge agli spettatori col tu e ai militari chiamandoli per nome - che un minuto senza ossigeno ti fa perdere conoscenza e dopo 20 minuti sei morto. Da lassù guardi quello strano mondo riflesso nel plexiglass, vedi cose che finora avevi visto soltanto nei sogni”. Intanto viene raggiunto l’obiettivo, vengono sganciate le bombe e inizia la fase più pericolosa: il ritorno alla base. “Ecco cosa vede un mitragliere: un puntino nel cielo. Quello è un caccia. Poi un lampo. Significa che ti sta sparando contro 2300 colpi al minuto”.
Seguono le immagini dei B-17 colpiti che disegnano una lenta spirale precipitando. I superstiti contano i paracaduti aperti in cielo, i sopravvissuti. L’operatore cinematografico Harold J. Tannenbaum, uno dei tre presenti in missione, rimane ucciso. Al rientro alla base di Bassingbourne, il Re e la Regina fanno visita all’equipaggio per congratularsi e fare gli auguri di pronta guarigione ai feriti. E Wyler indugia proprio su di loro, sui feriti, sui primi piani sofferenti dei superstiti, su chi è visibilmente infastidito dalla presenza della telecamera. Tornato in America mentre si reca alla prima del suo film, uscendo dall’albergo intercetta un portiere che definisce un uomo “dannato ebreo”. Gli sferra un pugno e il giorno seguente viene arrestato per “comportamento indecoroso” per un ufficiale. L’esercito gli propone un rimprovero o la Corte Marziale. Sceglie riluttante il rimprovero ma ricorda pubblicamente che la sua opera è rivolta proprio contro chi si esprime con questo linguaggio.
Quando esce Memphis Belle: A Story of a Flying Fortress riscuote un notevole successo, è la prima pellicola di guerra recensita sulla prima pagina del New York Times, ma non mancano le lamentele: alcuni si indignano per il linguaggio diretto (una volta ritornato in patria Wyler registra le vere voci dell’equipaggio), altri si lamentano per l’immagine spaventata dei militari. Ma Wyler difende sempre e strenuamente il proprio documentario che insieme alle prove di Huston, Ford, Capra e Stevens, diventa uno dei contributi più seri e realistici del documentarismo americano di guerra.
Nonostante abbiano quasi 80 anni, e li dimostrino tutti, le immagini di questi filmati riportano intatte la potenza e il realismo dell’intento documentario. Recentemente la miniserie televisiva Five Came Back, diretta da Laurent Bouzereau e diffusa su Netflix, ha affrontato il tema del cinema di propaganda americana durante la Seconda Guerra Mondiale. Con la voce narrante di Meryl Streep, cinque registi americani di oggi ripercorrono i lavori cinematografici prodotti durante la guerra da altrettanti registi d’epoca. Steven Spielberg racconta di William Wyler, Francis Ford Coppola di John Huston, Guillermo del Toro di Frank Capra, Paul Greengrass di John Ford e Lawrence Kasdan di George Stevens.
Memphis Belle: A Story of a Flying Fortress di Wyler è proprio uno dei documentari restaurati che viene presentato da Spielberg. Il regista ammira il forte realismo delle operazioni belliche ma anche l’attenzione alla solitudine e alla paura dei giovani soldati. La guerra appare a tratti svuotata di quell’eroismo che animava il cinema di propaganda. La ripetitività ossessiva delle operazioni militari, la precisione meccanica dei gesti riempie l’abisso mentale di chi teme di non tornare mai più alla vita civile. Ma le azioni, per quanto importanti, non sono sufficienti a riempire questo vuoto: rimane uno spazio in cui si insinua il terrore. “Wyler partecipò alle missioni – spiega Spielberg – per mostrare la guerra da lassù, per mostrare quanto fossero giovani i militari rinchiusi in quelle scatolette di latta, senza aria e con un freddo glaciale. […] Monotonia e terrore. Terrore e monotonia si alternavano in tutti gli aspetti della guerra”.