In uno dei passaggi più belli di questo film che si vorrebbe infinito come la biblioteca che ne è protagonista, Antonio Faeti racconta di aver visto I 400 colpi nella sua prima settimana da insegnante delle elementari: una visione che anticipa quello che osserverà nei suoi anni di scuola e che diventa simbolo di un modo di intendere la sua professione, con il senso di indeterminatezza finale su quelle note che Faeti ricorda ancora e che si mette a canticchiare davanti alla macchina da presa.
Pur partendo dalla materialità della carta stampata e di una biblioteca che si attraversa come la giungla degli amati romanzi di Salgari, Continuare il racconto. La biblioteca infinita di Antonio Faeti di Danilo Caracciolo e Giorgia Grilli racconta anche l’imprescindibilità del cinema per l’avventura intellettuale di questo maestro divergente, pittore e primo professore ordinario di Letteratura per l’infanzia in Italia all’Università di Bologna.
La sua passione per le immagini, in movimento o statiche, lo porterà a collezionare, come ricorda anche la moglie Anna, centinaia di volumi di illustratori per l’infanzia a cui il docente dedicherà il suo fondamentale studio Guardare le figure (1972).
Che Faeti sia sempre stato interessato alla commistione tra cultura “alta” e “bassa”, lo si vede mentre seguiamo i movimenti della macchina da presa lungo i corridoi dei tre appartamenti con annesse cantine, affittati per essere adibiti a biblioteca per contenere un numero incalcolabile di opere. Fogli scritti a mano sospesi su gruppi di libri indicano la coesistenza di fumetti e Van Wyck Brooks, gialli e Herman Melville, Le novelle della nonna di Emma Perodi e Proust.
Ma Faeti si spinge oltre e, fedele al suo motto che la fiaba è ovunque, fa di questa commistione anche un modo di raccontarsi, trasfigurando in favola proprio il suo tentativo di comprare La recherche proustiana subito dopo aver conseguito il diploma di scuola media e senza i soldi necessari per tutti i sette volumi.
La sua antagonista diventa, inaspettatamente, la titolare della libreria che, rintanata in un antro buio, si rifiuta di vendere un singolo volume per non rovinare l’intera opera. Il giovane Faeti dovrà superare la prova di lavorare come garzone di un macellaio prima di potersi permettere la lettura di Proust. Anche la critica letteraria può diventare fiabesca, come nel dialogo immaginario che il docente intrattiene con Calvino, a cui confessa di trovare una dimensione inquietante sotto la superficie rassicurante del Visconte dimezzato.
La stessa biblioteca Faeti è un luogo fiabesco, che affianca ai libri gli oggetti più disparati: ritratti di scrittori dello stesso Faeti, soldatini, mostri, burattini. Significativamente, la macchina da presa se ne allontana unicamente per andare a Sant’Agata Feltria, paese d’origine del padre di Faeti, in un altro luogo ugualmente fiabesco, Rocca Fregoso, dove lo studioso ha contribuito a fondare il Museo della Fiaba, uno spazio dove, utilizzando le sue stesse parole, “continuare il racconto”.
È proprio questa frase che dà il titolo al documentario di Caracciolo e Grilli e che, nel contesto del film, assume anche il significato di preservare e valorizzare il patrimonio librario di Faeti, evitando che la mancanza di eredi diventi motivo per la sua dispersione. Un appello per trovare un luogo istituzionale dove il racconto dello scrittore possa continuare a vantaggio delle generazioni future che speriamo non cadrà nel vuoto.