New York City, 1979. Cyrus, leader afroamericano dei Riffs, raduna nel Bronx tutte le street gangs della città (più di 100.000 uomini in totale) per unirle in unico grande esercito e porre fine alle sanguinose lotte per il controllo dei quartieri. Nel bel mezzo del raduno Cyrus viene ucciso da Luther, anarchico leader dei Rogues, e la colpa dell’omicidio viene attribuita ai Warriors, carismatica gang di Coney Island. Per gli otto guerrieri è l’inizio di una frenetica fuga lunga 100 miglia per tornare a casa e sfuggire alle grinfie di tutte le bande della città, intenzionate ad eliminarli.

Al suo terzo lungometraggio per il cinema, Walter Hill rivela la sua ossessione per il potenziale mitologico al cuore della narrazione cinematografica e, prendendo a piene mani dall’Anabasi di Senofonte, crea un action western metropolitano che mostra il sottobosco underground giovanile dell’epoca senza alcuna pretesa di critica sociale ma che ha soprattutto il merito di dare una nuova identità iconografica alla Grande Mela.

Tre anni dopo lo sconvolgente ritratto metropolitano di Taxi Driver, in cui New York era una livida giungla urbana fatta di sangue e luci al neon, Walter Hill lavora di sottrazione, scarnifica la città dei suoi simboli di riconoscimento pur girando il film completamente in esterni e la converte in una terra di nessuno, un universo che si attiva solo al calare delle tenebre, attraversato da un’energia cupa e tribale che trova nelle gang di strada la sua personificazione umana. È in questo approccio metafisico e allucinato alle tensioni sociali dell’epoca che si nasconde il successo storico del film: Hill rifiuta il crudo realismo scorsesiano e si affida al  potere deformante dei generi, passando dal western al film di guerra fino al road movie, per trasformare la città in un non luogo dove la violenza, mai compiaciuta, ha come unico motore l’istinto di sopravvivenza.

Ciò che rimane della New York civilizzata è il suo simulacro ludico per eccellenza, il baseball: la città di Babe Ruth e Joe DiMaggio diviene per i Warriors un letale campo da gioco dove la stazioni della metropolitana sono le basi da conquistare per vincere la partita e le gang rivali sono la squadra avversaria pronta a eliminarli ad ogni costo; non è un caso che gli antagonisti più iconici del film siano proprio i Baseball Furies, teppisti pittati e armati di mazze in cui si sommano l’importanza dei New York Yankees per lo spirito popolare newyorchese e la passione del regista per i Kiss di Gene Simmons e Paul Stanley.

Il variopinto crogiolo di bande che detta legge nella notte di New York si rifà anch’esso più alla dimensione del sogno che ad un contesto storico reale. Figli di un tessuto sociale allo sbando, i teppisti di strada di Walter Hill paiono usciti dagli incubi della borghesia americana ma a muovere la loro esistenza non è lo spirito di rivalsa, bensì la cieca appartenenza ad un branco. Eredi della sporca dozzina di Robert Aldrich, i Warriors sono individui votati alla lotta in una Grande Mela adibita a mortale parco giochi ed esistono solo grazie ai simboli cuciti sui loro gilet di pelle, indossati come una divisa a cui non si deve rinunciare neanche in punto di morte.

Ed è proprio sul luna park di Coney Island, universo ludico per eccellenza fin dai tempi della Grande Depressione, che ha inizio e fine l’epos violento di Walter Hill, fantasmagoria psichedelica spesso imitata ma mai eguagliata che ancora oggi, a 38 anni di distanza, rimane un punto di riferimento nell’iconografia cinematografica di New York.

Francesco Cacciatore