Nina è una donna sola con una figlia a carico, decisa a non pesare sul suo attuale compagno e in cerca di una indipendenza economica, arriva, su segnalazione di un sacerdote, a lavorare come inserviente al Baratta, una lussuosa residenza per anziani nella provincia lombarda. Una sera le viene richiesto di trattenersi oltre l'orario di lavoro e di recarsi nell'ufficio del direttore. Qui, fra riferimenti alla figlia e alla solidità del lavoro che sarebbe un peccato perdere, subirà le esplicite avance sessuali del dottor Torri: una consuetudine, in quel luogo, come scoprirà. Decisa a denunciarlo, Nina inizia una faticosa battaglia legale in cerca di giustizia. Balzato agli onori delle cronache recentemente per via del caso Weinstein, cronache dalle quali non è in effetti mai uscito pur avendo avuto certamente meno rilevanza, il tema della molestie sessuali sul luogo di lavoro è un argomento talmente delicato che era forse davvero necessario trattarlo in modo così apertamente programmatico.
L'impostazione di Giordana infatti, svela fin da subito la sua matrice “a tesi” in modo estremamente chiaro e probabilmente fin troppo schematico, sopratutto nella seconda parte, dove, volendo giungere a tutti i costi e in modo un po frettoloso, ad una risoluzione positiva, si concede salti e approssimazioni narrative che altrove, con intenti meno lodevoli, avrebbero reso indigeribile la pellicola. Una regia marcatamente televisiva e una recitazione, spiace dirlo, globalmente piuttosto piatta (apprezzabile la Capotondi che però non graffia e Binasco, che gigioneggia un po' ma risulta comunque il migliore in scena), non aiutano a salvare un film che, malgrado tutti i difetti, era giusto scrivere e girare: pressanti sono infatti le istanze sociali, culturali e politiche che proprio in questo periodo, stanno premendo da ogni parte perché si riapra il dibattito sul rapporto tra sesso e potere, o per meglio dire, sull'abuso che gli uomini dalla loro posizione di potere, possono fare di donne, collaboratrici, dipendenti o colleghe, messe in condizione spesso di non poter che cedere ad avance di natura sessuale, col ricatto di un lavoro che non si può perdere o di una carriera che si teme possa essere interrotta. Ricatto reso ancora più odioso da una cultura maschilista e ancora largamente misogina talmente radicata e innervata in ogni piega della società, da rendere davvero difficile, per chi subisce queste molestie, parlarne, denunciare, difendersi e persino talvolta ricevere solidarietà da parte di altre donne.
Tutto questo è effettivamente presente nel film di Giordana: da una bieca figura di sacerdote che minimizza l'accaduto (personaggio abbastanza agghiacciante quello di Don Roberto Ferrai responsabile risorse umane della clinica interpretato da Bebo Storti), fino a colleghe che hanno già subito e, terrorizzate, tacciono, o altre che per quieto vivere semplicemente ignorano quanto sta succedendo, passando per un'anziana e colta ospite della clinica (Adriana Asti) con cui Nina si confida e che a proposito delle molestie subite troverà normale commentare: “un tempo le chiamavano complimenti”. Persino il suo compagno, seppur solidale, risulta essere immensamente meno coraggioso e determinato di lei.
“Perché ha aspettato così tanto prima di parlare?” è la tremenda domanda che si sente fare Nina in tribunale dall'avvocato di difesa del “dottor” Torri, e tuttavia, fuori dalla finzione, questa stessa subdola domanda la si è potuta leggere anche su giornali e sui social network, in questi mesi, a proposito delle numerose attrici che dopo anni, hanno trovato finalmente la forza di denunciare Harvey Weinstein, il potentissimo produttore hollywoodiano, a dimostrazione di quanto questa mentalità sia così radicata anche nell’opinione pubblica e sia così difficile scalfirla.
Concludendo, al netto di un film poco riuscito, si salva l’intento morale di Giordana, sensibile nel cogliere, insieme a Cristiana Mainardi che ha scritto il film, l’urgenza di portare allo scoperto un crimine relegato troppo spesso nelle zone d’ombra della cronaca e che il movimento #metoo ha invece aiutato a far emergere, dando coraggio e solidarietà alle tante donne che ancora non riescono a parlare, e non ultimo, in qualche modo, il film ci ricorda che ogni giorno, anche senza rendercene conto, che lo accettiamo o meno, siamo tutti parte di questo ingranaggio maschilista e siamo dunque, sopratutto noi uomini, tutti coinvolti e responsabili: non uno di meno.