Adattamento del suo omonimo romanzo del 1966, Nostra Signora dei Turchi è il primo lungometraggio di Carmelo Bene nonché l'inizio, a parte un paio di corto e mediometraggi, della sua breve ma significativa incursione nel linguaggio cinematografico a partire dal 1968, che si concluderà in soli cinque film nel 1973. Per la sua opera prima, Bene porta sullo schermo scene criptiche e indecifrabili, che a voler far rientrare in uno schema narrativo assomigliano al flusso di coscienza di uno scrittore intellettuale. Barocco, debordante, propugnatore teorico di una predominanza dei significanti sui significati, Bene mette in scena situazioni di vita quotidiana, riflessioni esistenziali, medioevali storie dell'invasione dei turchi a Otranto, con una forte vena surrealista e un accumularsi di simboli.

Superbo mattatore teatrale, Bene scrive, dirige, e si ritaglia il ruolo di protagonista assoluto, con pochi altri attori come marginali comprimari: è quasi sempre lui la voce narrante fuori campo, che declama passi dal suo romanzo, con incedere maestoso e lugubre; è ancora lui il primattore potente, spesso ieratico, fortemente antinaturalistico rispetto alle consuetudini dell'interpretazione cinematografica, che si inserisce in scene però grottesche, con uno spiccato gusto dello sbeffeggio per la retorica del racconto. Involuto, autoreferenziale, narcisista per alcuni, geniale ed evocativo per altri.

Nostra Signora dei Turchi vuole con evidenza riflettere sulle modalità narrative del mezzo cinematografico in sé, e lo fa con molta perizia peraltro, anche se la definizione di “immagine ben costruita” è un concetto che Bene considerava priva di senso. La natura meta-cinematografica, la burla distaccata delle forti passioni messe in scena è però anche ciò che rende la pellicola un po' fredda, cerebrale, orientata alla derisione della finzione in sé quanto del sentimento comune dello spettatore. In essa Bene si lascia intuire critico e teorico, come mostrerà poi apertamente qualche anno più avanti, nelle sue dissertazioni e dissezioni delle macchine di produzione del senso.

L'evidenza di uno spietato giudizio è anche in fondo ciò che da sempre polarizza il giudizio sull'opera di Carmelo Bene fra rapiti sostenitori e irritati detrattori, assieme alla sua capacità di dare scandalo. In Nostra Signora dei Turchi Bene si conferma come provocatore del suo tempo, con la Madonna che, alle prese con la vita di coppia, si dà a recriminazioni continue e dopo l'amplesso fuma a letto sfogliando una rivista femminile, un editore che coinvolge lo scrittore protagonista in una scena di seduzione a ritmo di tango con bacio finale, e un religioso ingordo di cibo ed evidente predatore sessuale.

Presentato alla Mostra del Cinema di Venezia del 1968, Nostra Signora dei Turchi vinse il Leone d'Argento ma questo non accontentò Bene, convinto di meritare il premio della critica. In un clima generale di contestazione pesantissimo, il suo sdegno eclatante contribuì a sollevare un polverone, che portò il festival dall'anno successivo a divenire, per qualche edizione, non competitivo.