In provincia di Bologna, nell’antico borgo di Oliveto, si celebra una delle feste più originali e bizzarre di sempre, dedicata alla “saracca”, cioè l’aringa, un tempo immancabile alimento sulla tavola dei più poveri, si tratta del Funerale della Saracca: una festosa processione profana che culmina nella sepoltura della saracca ai piedi di una croce in legno su una collina, a simboleggiare la conclusa penuria invernale e l'arrivo dell'abbondanza primaverile.

Omelia contadina con le sue immagini rosse di terra, i volti dei contadini segnati dal tempo e dal sole, ma soprattutto con l’accompagnamento sonoro della marcia funebre eseguita da una banda paesana, ci ha da subito riportato, certo inconsapevolmente, a quella stessa atmosfera tante volte vissuta durante il funerale della saracca: la seriosa commozione di un rito pagano, pronto a rivelarsi improvvisamente con la potenza della sua natura più verace e nascosta, quella di un festoso inno alla vita.

In soli dieci minuti Alice Rohrwacher e JR, (al secolo Jean René) eclettico artista francese, dedicano la loro “azione cinematografica”, perché mai come in questo caso il cinema è politico, a tutti quei valori arcaici che “dovrebbero alimentare la vera ricchezza del mondo” e invece sono stati messi all’angolo dalla banale ed ossessiva ricerca del profitto. A tutti quei “contadini senza nome che hanno conservato i semi e protetto e consegnato” il più grande tesoro la biodiversità, “soffrendo miseria e povertà” per custodire la bellezza del mondo. 

Con la semplicità di una struttura ad anello, ciclica come il susseguirsi delle stagioni, il corto si apre e si chiude con i piedi nel fango di uno dei contadini dell’Altopiano dell’Alfina (Viterbo) che introduce e suggella con le sue parole questa omelia funebre in memoria dell’agricoltura contadina. La prospettiva aerea catapulta velocemente la nostra percezione di spettatori dal basso dell’uomo finito e del fango, alla grandezza quasi mistica e sacra della Madre Terra (il colore predominante è il marrone dei campi arati), che si apre e si scava per accogliere al suo interno, nella fossa, le icone gigantesche di alcuni contadini (opera magna dell’artista).

Un uomo saggio un giorno disse “quando l'uomo classico sarà finito e saranno morti tutti i contadini e gli artigiani, quando non ci saranno più le lucciole le api e le farfalle, quando l'industria avrà reso inarrestabile il ciclo della produzione, allora la nostra storia sarà finita”. Alle parole de La rabbia di Pasolini è affidato il compito di denunciare le ragioni di questa morte anche se solo apparente. Una morte celebrata per poter iniziare prestissimo il rito di resurrezione. “Quando cercherete la natura non la troverete più, regnerà una primavera silenziosa”. Sono minacce che lasciano grande spazio alla speranza imperitura di una ri-generazione. Perché una sola certezza trasuda dal corto, ossia che “finché i contadini continueranno a nutrire il mondo”, la campagna funzionerà come una rete di protezione e la nostra storia non sarà ancora finita. 

Alice Rohrwacher invita con ferma dolcezza a ricordare le parole di Elsa Morante per la quale il detto “il fine giustifica i mezzi” è vero solo nel suo rovescio ossia che “i mezzi denunciano il fine”, e a prestare attenzione ad ogni processo che partorisce i prodotti che portiamo a casa. Il consumo etico come morale ispiratrice di nuove forme d’arte. D’arte e non solo di cinema qui si parla, infatti, avendo ripulito il mezzo (qui il film) da ogni velleità commerciale per definizione e destinando l’opera ad una libera circolazione gratuita che fosse in grado di dar le gambe a cotanto messaggio. Del resto, come diceva quel motto messicano Voi ci avete piantato, non sapevate che eravamo semi?”.