Gli ultimi tormentati sei mesi di Bettino Craxi. Questo ciò che vuole raccontare Gianni Amelio nella sua ultima opera: Hammamet. Tormentati non solo dalla sconfitta politica, ma anche dalla malattia. Esiliato (o fuggito) ad Hammamet, in Tunisia, Bettino Craxi viene raccontato non solo in quando ex leader politico, ma in quanto uomo. “Vorrei capire con i miei piccoli occhi mortali cosa c’è dopo. Dopo la morte intendo. È vero che Dio non c’è?”.  A interpretarlo, un volto che ormai conosciamo bene: Pierfrancesco Favino. Lui, e solo lui, domina magistralmente all’interno del film. Il regista stesso gli regala numerosi monologhi, camuffati da dialoghi. E Hammamet diventa un’opera dedicata non solo “agli spasmi d’agonia” di un uomo politico importante, come afferma Amelio stesso, ma anche un vero e proprio inno alla recitazione di Favino. Ed è dunque all’attore protagonista che, anche noi, volgiamo lo sguardo.

Pierfrancesco Favino, formatosi all’Accademia Nazionale Silvio d’Amico, inizia ad affermarsi in quanto attore nei primi anni del 2000. Anni in cui sembra inevitabile inserirlo all’interno della “generazione Ultimo bacio” (nel ruolo di Marco in L’ultimo bacio e Baciami ancora di Gabriele Muccino), caratterizzati da personaggi isterici, dominati non dalla propria forza di volontà, ma da quella dell’isterismo. Tuttavia, è nel 2005 che la carriera di Favino ha la svolta decisiva, grazie all’interpretazione di Il Libanese in Romanzo criminale di Michele Placido. Una figura completamente diversa dagli uomini “mucciniani” che lo porta al Nastro d’Argento come migliore attore, e con la quale ha la possibilità di mostrare la sua capacità poliedrica. E da qui la sua “faccia giusta” (come la chiama lui stesso durante un’intervista per Io donna) non smette più di cambiare connotati.

In 20 anni di carriera, l’abbiamo visto apparire in opere televisive e cinematografiche di vario genere. Ma guardando un po’ più attentamente, si nota un fil rouge in molte delle sue interpretazioni: l’uomo figlio del '68. E quindi, un uomo in preda a un senso di spaesamento. Un uomo che non trova più un ruolo definito da ricoprire all’interno della società moderna. Dopo i moti del ’68, infatti, la nostra società ha subito profondi mutamenti e il ruolo del maschio si è trasformato senza avere più un contorno ben definito come in passato. Ed ecco quindi Favino nelle vesti di uomini deboli, incapaci di affermare la propria volontà davanti al sesso opposto. Rimando a tal proposito ai suoi personaggi ne L’industriale (di Giuliano Montaldo, 2011),  A casa tutti bene (di Gabriele Muccino, 2018) e Cosa voglio di più (di Silvio Soldini, 2010).

Sempre seguendo il nostro fil rouge, lo vediamo incarnare anche il latin lover degli anni Sessanta. O meglio, ciò che ne rimane. Se infatti nelle figure attoriali di Mastroianni (latin lover per eccellenza), la paura del femminile era nascosta sotto la superficie del rubacuori, adesso quel timore si mostra in tutta la sua fragilità, facendo poco a poco incarnare al maschio tratti tipicamente femminili (L’uomo che ama di Maria Sole Tognazzi, 2008). Sino a interpretare ruoli omosessuali (Da zero a dieci di Luciano Ligabue, 2001, e Saturno contro di Ferzan Özpetek, 2007) e persino a trasformarsi in una vera e propria donna (Moglie e marito di Simone Godano, 2017). Ma ancora, in ruoli apparentemente virili come Il Libanese o Cobra (A.C.A.B. – All Cops Are Bastards di Stefano Sollima, 2012), Favino ricopre personaggi con una sensibilità che rimane latente, dove la sessualità è sostituita dalla violenza. Non a caso, in entrambi i film, i suoi personaggi sono capaci solamente di relazioni omosociali.

Ma ciò che abbiamo analizzato sino a qui è solo una delle modalità con cui Favino rappresenta l’Italia di oggi. L’altra faccia della medaglia sono tutte le altre sue interpretazioni di persone realmente esistite, appartenenti alla nostra storia e cultura. Da Gino Bartali (Gino Bartali – L’intramontabile di Alberto Negrin, 2015) a Giorgio Ambrosoli (Qualunque cosa succeda sempre di Alberto Negrin, 2014) per la televisione, lo troviamo più recentemente nel ruolo di Tommaso Buscetta (Il traditore di Marco Bellocchio, 2019) sino, appunto, a Bettino Craxi. Per i personaggi realmente esistiti, la recitazione di Favino si basa sullo studio puntiglioso di com’erano questi nella vita reale. Lo vediamo trasformarsi non solo fisicamente, ma anche vocalmente. Infatti, è soprattutto con la voce che Favino riesce a interpretare al meglio persone provenienti da diverse regioni d’Italia.

Queste due categorie di personaggi interpretati da Favino fanno di quest’ultimo un attore dalla faccia italiana (nonostante le sue apparizioni nel cinema internazionale), tanto da potersi permettere di portare la pasta Barilla a casa di ciascuno di noi, senza perdere di credibilità. La sua ultima performance, che senza troppi sforzi ci ricorda quella di Toni Servillo nei panni di Giulio Andreotti (Il Divo di Paolo Sorrentino), ci conferma il suo divismo (e anti-divismo) made in Italy, nonché la sua capacità di metamorfosi. Sebbene, in quest’ultimo caso, sia stato aiutato da una vera e propria maschera di make-up. La sua recitazione ha saputo donare bellezza a un film dai toni lenti e pacati, restituendo sensibilità a una figura politica controversa e decisamente complessa da rappresentare.