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Pierfrancesco Favino, anatomia di un (anti)divo

In 20 anni di carriera, lo abbiamo visto apparire in opere televisive e cinematografiche di vario genere. Ma guardando un po’ più attentamente, si nota un fil rouge in molte delle sue interpretazioni: l’uomo figlio del ’68. E quindi, un uomo in preda a un senso di spaesamento. Un uomo che non trova più un ruolo definito da ricoprire all’interno della società moderna. Dopo i moti del ’68, infatti, la nostra società ha subito profondi mutamenti e il ruolo del maschio si è trasformato senza avere più un contorno ben definito come in passato. Nasce così il suo divismo (e anti-divismo) made in Italy, nonché la sua capacità di metamorfosi. La sua recitazione ha saputo donare bellezza a film diversi e figure complesse da rappresentare. 

Porte aperte ad “Hammamet”

Il film appassiona non poco nel mostrare l’apertura e l’acume dell’uomo e del leader, la sua visione ampia e priva di pregiudizi, la lucidità affettiva nel rapporto con i figli e i nipoti e quella politica nel confronto con colleghi e avversari. In una parola: il suo carisma. Il problema del film di Amelio non è la mancanza delle risposte, ma che queste domande non risuonino con la solennità e la severità necessarie. Se terremoto doveva essere, non sentiamo la terra muoversi sotto i nostri piedi. Se una finestra doveva essere rotta, non ci sentiamo in pericolo per i vetri a terra.