È curioso vedere come il cinema contemporaneo negli ultimi anni si stia approcciando a tematiche delicate come il rapporto genitori-figli e l'elaborazione del lutto: nei modi più disparati, mediante tagli e generi differenti. Citandone alcuni, si pensi ai recentissimi The Whale di Darren Aronofsky e The Son di Florian Zeller - entrambi in concorso a Venezia 79 - che raccontano di padri assenti con toni intimi e dal forte impatto emotivo; ma si potrebbe benissimo scomodare anche il sovversivo Ari Aster che è in grado di affrontare il discorso sul lutto con una forza catartica ineguale. Argomenti questi centrali anche nell'ultimo film di Rodrigo García, Raymond and Ray, in concorso alla Festa del cinema di Roma 2022 e in programmazione su Apple+.
La storia di due fratellastri, Raymond (Ewan McGregor) e Ray (Ethan Hawke) e un angoscioso spettro che grava sulle loro vite: il padre Harris. Dopo anni senza alcun tipo di contatto, la morte di quest'ultimo diviene il pretesto per incontrarsi nuovamente, facendo riaffiorare nelle loro menti i traumi subiti e le delusioni. Tra viaggi in macchina, preparazioni del funerale e nuove figure che dirompono nel teatro delle loro vite, il duo si ritrova, involontariamente, a fare i conti con il passato e delle nuove, talvolta sconcertanti, verità.
Due protagonisti che si presentano dalle prime scene come diametralmente opposti: Raymond, più razionale e introverso e Ray, cinico trombettista, ex-tossico dipendente. Due ideali metà di uno yin e yang, così simili e diversi allo stesso tempo. Ma è proprio nel corso della storia che le delineazioni caratteriali poste a inizio film vengono completamente ribaltate, offrendo agli spettatori inaspettati retroscena. Del resto, un nodo fondamentale del film verte proprio sull'idea che non si ha mai la conoscenza completa di una persona, bensì solo una parziale e distorta: una basata sul tempo consumato assieme. Proprio come dimostrano i personaggi interpretati da Hawke e McGregor e la loro personalissima verità su Harris.
Quello che scoprono in poco più di una giornata - quella del funerale e arco narrativo dell'intera vicenda - è come l'indigesto padre sia stato amato da donne diverse, apprezzato da estranei (l'avvocato, l'infermiera, il reverendo) e, soprattutto, come sia stato capace di amare un figlio. Rivelazioni che si trasformano nell'epicentro di un terremoto emotivo che fa crollare tutte le idiosincrasie di Raymond e Ray. D'altronde loro sono solo vittime di violenze fisiche e psicologiche del genitore; si diverte a chiamarli con lo stesso nome per confonderli e anche le volontà post mortem non sono da meno: obbligati a presenziare al funerale e a scavare la fossa.
García introduce per cui nella diegesi un acuto ragionamento sulle relazioni umane, su quanto esse siano importanti per andare avanti (i protagonisti non sono veramente fratelli) e come le stesse, in particolar modo quelle familiari, plasmino i caratteri. Inoltre, pone degli spunti interessanti per quanto concerne le figure femminili ( interpretate da Sophie Okonedo e Maribel Verdú) spesso oppresse dagli stessi uomini di cui sono al contempo punti saldi.
Ma quello che appare sul grande schermo non è il solito dramma. Ed è proprio qui che risiede la forza del film. Il regista riesce a ragionare su questioni spinose in maniera dissacrante, stando in perfetto equilibrio tra il dramma e la black comedy, grazie anche all'improbabile, ma funzionale, accoppiata Hawke e McGregor. Esegetiche sono le scene al cimitero dove si alternano picchi drammatici e gesti paradossali (numeri circensi, sparatorie ai defunti, esibizioni musicali e così via).
Una pellicola sui generis, di certo non perfetta, dove nemmeno la morte riesce a placare la rabbia, il risentimento e portare la pace negli animi. Tra emozioni discordi, amore e odio, si vanno a creare infiniti spazi dati dall'impossibilità di poter dire all'altro cosa si è provato veramente. Ed è solo con una risata amara che si può alleviare il dolore.