Esordio nel cinema di finzione di István Gaál, con cui storicamente si fa iniziare la new wave ungherese, Sodrásban ("La corrente", 1964) imbastisce sul delicato bozzetto impressionista dei primi minuti un coming of age di straordinaria concisione e forza espressiva, quella che a volte troviamo anche in certo cinema giapponese, capace con poche pennellate di svergognare le più laboriose costruzioni concettuali e lambire direttamente l'Assoluto. Inizia dal pomeriggio estivo in riva al fiume di un gruppetto di studenti diciottenni: nuotano, corrono, giocano a calcio, tentano un approccio amoroso. A un certo punto scattano una fotografia, dove – tutti coperti di fango, con smorfie divertite in faccia e bastoni in mano - potrebbero sembrare Peter Pan e il suo codazzo di Bimbi Sperduti. Neanche un'ora e mezza dopo, quando quella foto viene di nuovo inquadrata, a riguardarla sembrerà passata una vita.

Gabi è scomparso. Non andato via, non morto, scomparso. Un attimo prima era lì, un attimo dopo non c'è più. I ragazzi lo cercano in lungo e in largo, e alla fine rinunciano. Ovviamente lo credono annegato nel fiume, ma il corpo seminudo e così simile al loro non si trova, inghiottito dalla natura sì, ma non come normalmente si intende. Gabi non si trova come la Miranda di Picnic ad Hanging Rock (1975), sparita fra i monti australiani e nelle pieghe della coscienza in subbuglio delle sue compagne di collegio. Non si trova come il disperso Ray Brower di Stand By Me (1986), allontanatosi dalla sicurezza di Castle Rock per andarsi a seppellire nell'immaginazione di quattro suoi coetanei che soprattutto grazie a lui troveranno la forza per diventare uomini. Non si trova come i ricordi di un tempo perduto, che però, come dice il padre scultore di uno dei ragazzi, "l'artista deve ricordare" (e magari - per fortuna - farci un film come questo).

Ci siamo tutti, nel gruppetto di Gaàl. Lo sportivo, il bravo in matematica, l'artista sognatore e così via. Non come a Hollywood, dove tutti hanno una parte precisa in ciò che succede, ma come nella vita, che succede e continua a succedere per tutti. Sodràsban è un film sulla morte alle spalle, sul senso agrodolce del guardarsi non esser più; quando finisce sembra impossibile aver vissuto le sue prime sequenze come presente, e si resta con la netta impressione di una gita in riva allo Stige (l'immagine dei nonni del ragazzo scomparso che percorrono in barca l'acqua scura per lasciargli un cero acceso in un'arcaica offerta di pane), di esser tornati per il breve tempo di una proiezione ad un luogo che si era lasciato tanti anni fa, con gli amici al fianco, guardando il paesaggio scorrere, fluire via attraverso il vetro posteriore di una macchina.