Continua la retrospettiva dedicata a Jim Jarmusch, e continuano gli approfondimenti di Cinefilia Ritrovata, in particolare sul rapporto tra cinema e musica presente nei film del regista indipendente americano. Solo gli amanti sopravvivono è una delle riuscite più potenti dell’ultimo Jarmusch e qui sotto ne analizziamo i motivi sonori.

Se Jim Jarmusch decide di raccontare al grande pubblico una storia d’amore c’è da star certi che lo farà in maniera anticonvenzionale. Solo gli amanti sopravvivono viene presentato in concorso al Festival di Cannes nel 2013, dove si aggiudica il Cannes Soundtrack Award per la Miglior colonna sonora. Jarmusch sembra giocare con una serie di dicotomie, tangibili sin dall’apertura del film e dalla scelta stessa dei nomi dei due protagonisti: Adam (Tom Hiddleton) e Eve (Tilda Swinton), che, al di là dei rimandi biblici, rivelano la primigenia opposizione maschile-femminile, rinviando al contempo alla loro imprescindibile complementarietà.

Il gioco dei contrasti si articola anche a livello visivo, come nel caso del candore della pelle dei due che contrasta con il rosso purpureo del sangue, o della loro figura evanescente che stride con la loro natura imperitura; o ancora a livello spaziale, come nel caso degli amanti prima lontani e poi ricongiunti, e quindi, di conseguenza, in quello delle due città (Detroit e Tangeri) che ospitano le loro notti senza tempo. Persino la musica si muove lungo due binari: la colonna sonora, che Jarmusch cura in prima persona insieme alla sua band (gli Sqürl) e al compositore e liutaio olandese Jozef van Wissem, segue in modo speculare le direttrici della pellicola e l’andamento dei due protagonisti, salutandoci con Streets of Detroit a cui fa eco, più tardi, Streets of Tangeri.

L’ancestrale richiamo del sangue, istinto basilare per ogni vampiro che si rispetti, è piegato – nella parabola a tinte cupe di Jarmusch – da una quotidianità in cui Adam e Eve si sono “imborghesiti” (sono dei medici corrotti, infatti, che procurano loro le razioni sotto banco), hanno imparato a schivare le folle e non a cacciarle, a ritagliarsi uno spazio proprio, in cui si ritrovano però fantasmi di loro stessi. Di notte, vagabondando per le strade vuote, sembrano specchiarsi nella realtà che li circonda: scenari tetri, edifici fatiscenti, teatri che lasciano il posto a parcheggi, la miseria che si annida ad ogni angolo. La musica continua a far da padrone anche a livello narrativo: Adam è un appassionato musicista, sebbene le sue chitarre e la sua infinita collezione di vinili non riescano più ad alleviare i suoi turbamenti, indotti da una contemporaneità degradata e viziosa, dove la noia regna sovrana. Adam è il vero campione romantico dalle inclinazioni nostalgiche e malinconiche, cosciente che non c’è posto per lui in questo mondo, dove non esiste senso di appartenenza se non, ovviamente, nei riguardi di Eve.

Sono due sopravvissuti, in fin dei conti, non per scelta, ma in questo eterno ritorno all’uguale scelgono di ritrovarsi e di ricongiungersi. Il tempo si appiattisce, diventa sterile, perché tende all’assoluto, senza mai volgere verso la parola fine. I due amanti, parafrasando il titolo, si salvano rispondendo all’assoluto con l’assoluto, tramite il sentimento che li unisce e che giustifica la lunga eterna notte che li avvolge. Non è un caso che Jarmusch decida di celebrare l’amore anche nel finale, quando gli istinti da troppo tempo sopiti riaffiorano proprio per le strade buie di Tangeri, alla vista di due giovani che si baciano. Amore e Morte, d’altronde, non sono altro che le due facce di una stessa medaglia.