Dopo il buon successo di critica ottenuto con il suo esordio, Magari (2020), Ginevra Elkann ritorna ad occuparsi di una serie di coppie disfunzionali con Te l’avevo detto, sceneggiato sempre insieme a Chiara Barzini con l’aggiunta di Ilaria Bernardini.

Diversamente dal primo film, non sono tanto i legami sentimentali quanto le dipendenze e gli incubi del passato a caratterizzare i rapporti tra i personaggi. Gianna (Valeria Bruni Tedeschi) è ossessionata da Pupa (Valeria Golino), una pornostar in declino in cerca di rilancio, che le ha portato via il marito. La figlia di Gianna, Mila (Sofia Panizzi), cerca di controllare le nevrosi della madre, ma ha lei stessa una dipendenza dal cibo, che ingurgita voracemente di nascosto dall’anziana signora (Marisa Borini) a cui fa da badante. Caterina (Alba Rorhwacher) vorrebbe recuperare il rapporto con l’ex marito (Riccardo Scamarcio) e il piccolo Max e cerca di curare la propria dipendenza dall’alcol grazie ad un gruppo di aiuto animato da Bill (Danny Huston), un sacerdote italoamericano che combatte i suoi stessi mostri mentre aspetta l’arrivo dagli Stati Uniti della sorella Fran (Greta Scacchi) con le ceneri della madre.

Le storie delle quattro coppie si intrecciano in una Roma, progressivamente apocalittica, travolta da uno strano gennaio in cui le temperature raggiungono livelli record, uno scenario, a dire il vero, sempre meno insolito, anche a livello cinematografico, se si pensa a Siccità (2022) di Virzì o, sull’opposto versante climatico e di genere, Piove (2022) di Strippoli.

Come spiega la regista, il titolo deriva da un intercalare famigliare sentito spesso dai propri nonni e genitori, rivelando, come per Magari, l’importanza delle esperienze biografiche che vengono rielaborate cinematograficamente e uno sguardo sulle dipendenze e disfunzioni dei personaggi che non vuole essere giudicante, ma, al contrario, capace di cogliere con ironia debolezze e fragilità.

Il dato autobiografico è ben presente anche in Te l’avevo detto, non solo da parte della regista, ma anche delle co-sceneggiatrici e degli attori, che hanno evocato, nella scrittura o nella recitazione, pezzi della loro infanzia. Come nella ricostruzione del complesso e problematico rapporto con la madre defunta da parte di Bill e Fran: ricordi e esperienze biografiche sono confluiti nella performance attoriale di Danny Huston e Greta Scacchi di cui avvertiamo il coinvolgimento e la liberazione nel climax finale.

La cifra biografica, quindi, è uno dei tratti distintivi del film. L’altro è sicuramente l’abilità con cui Elkann dirige il suo grande e, come lei stessa ha rimarcato, “generoso” cast, con un’inedita Valeria Golino in parrucca bionda nel ruolo di Pupa e un’autoironica Valeria Bruni Tedeschi nella caratterizzazione di quella che è ormai la sua persona cinematografica. Abbiamo già detto di Huston e Scacchi. Scamarcio e Rorhwacher tratteggiano efficacemente la fragilità del loro affetto, sostenuti anche dalla bella prova del giovane Andrea Rossi, mentre Sofia Panizzi e Marisa Borini delineano con sensibilità una relazione in cui i ruoli di controllore e controllato, badante e paziente, sono continuamente discussi.

Infine, Te l’avevo detto non può non colpire per la rappresentazione di Roma, sempre più sgranata e irriconoscibile nella fotografia di Vladan Radovic tanto che gli stessi personaggi stentano a identificare i luoghi che percorrono. Non sempre questi tre elementi – la dimensione biografica, il protagonismo attoriale e lo scenario apocalittico collettivo – si amalgamano in una narrazione coesa che, più che coralità, esibisce la sua segmentazione.

Tuttavia, nonostante ci sia impossibile non giudicare l’incapacità dei personaggi di andare oltre i loro problemi davanti ad un disastro comune finale, proprio in questa indifferenza ci riconosciamo, ammettendo le nostre stesse dipendenze e paure.