La prima frase pronunciata in The Shrouds è la più Cronenberg immaginabile: "grief is rotting your teeth" (il lutto ti sta facendo marcire i denti). Quella più indicativa del tono del film arriva poco dopo: "how dark are you willing to go?". Se mai c'è stata una cupio dissolvi nella carriera di un autore l'ultimo film del canadese è un buon candidato al titolo.
Fin troppo facile vedere in The Shrouds la volontà di fare i conti con la morte. Quella di una persona amata (la moglie Carolyn Zeifman se n'è andata nel 2017 per le conseguenze di un tumore); ma anche, all'età di 81 anni, la possibilità non più tanto remota della propria dipartita. Quando il protagonista di The Shrouds - un Vincent Cassel con l'inconfondibile look dello stesso Cronenberg - indossa uno dei sudari ipertecnologici prodotti dalla sua compagnia, quella che il regista riprende a figura intera è una contemplazione della propria finitezza sorprendente, per sincerità e capacità di sostenere lo sguardo del Buio.
Speriamo che il momento in cui dovrà lasciarci arrivi più tardi possibile. Perché francamente, morto un Cronenberg non se ne fa un altro. Ancora oggi The Shrouds mette sul tavolo un'idea inedita, forse una sola, ma di una potenza tale che parlare di cinema diventa riduttivo: qui si parla di frontiere della visione, della capacità di ragionare sulle fasi dell'esistenza umana in modo ferocemente originale. Non esiste da nessuna parte - di sicuro nel cinema "occidentale" - uno sguardo sul lutto, la morte, la sepoltura che somigli a quello di The Shrouds. L'invenzione del personaggio di Cassel - una tuta/sudario in cui si avvolge il corpo e che permette ai cari di contemplarne tramite un'app il processo di decomposizione - è uno schiaffo a tutto ciò che intuitivamente e culturalmente ci sembra debba essere il rapporto col postmortem.
Dal poeta del corpo non potevamo aspettarci altro, eppure è incredibile (con quella logicità di Cronenberg che sfocia inspiegabilmente in commozione) che qualcuno abbia davvero avuto il coraggio di proporla. Cremazione? Chiudere il corpo in una bara e non vederlo più? Figuriamoci. Oggi poi, nell'epoca in cui la ricerca della perfezione visiva ci spinge sempre più lontano dall'idea del decadimento, anche solo dell'invecchiamento. Neanche per sogno: bisogna vedere. The Shrouds aggiunge l'ultimo fondamentale tassello al mosaico cronenberghiano della corporalità. Dopo le mutazioni, le nascite, la chirurgia, il gender, le ferite fresche di Crash, qui cade l'ultima frontiera. L'ultimo tabù.
Non meno interessante dell'invenzione è l'inventore, figura che in qualche modo contiene come dicevamo un autoritratto. È un capitalista-ecologista (gira in Tesla), un grande tecnòfilo, ma ha anche - inaspettatamente - un lato spirituale: la sua invenzione scaturisce dal bisogno di elaborare un lutto, e prende spunto dalle concezioni dell'Ebraismo per cui il corpo va lasciato libero di decadere anzichè cremato. Senza dare del religioso al più materialista dei registi, è sorprendente notare come Cronenberg trovi una soluzione eminentemente medica e tecnologica (quella tecnologia che mcluhanamente accompagna e cambia il corpo) a un problema che tradizionalmente ha avuto risposte religiose: quello della consolazione rispetto alla fine, che per l'ateo è davvero la fine di tutto.
Attaccata a quest'idea ce n'è un'altra che attraversa tutta la sua produzione, ma che tende a fare capolino soprattutto in quei film che potremmo definire quintessenzialmente cronenberghiani; quelli dove il discorso principe del suo cinema, la mutazione di corpo e mente a contatto con la tecnologia, è affrontato nel modo più diretto e centrale: Videodrome (la televisione) - che tra l'altro contiene già nel personaggio di Brian O'Blivion un'idea di postmortem tecnologico; ExistenZ (il videogioco); e adesso Crimes of the Future e The Shrouds (lo smartphone), nella cui aura di finalità si percepisce il bisogno di tornare al nucleo centrale di una poetica.
Si tratta del tema della cospirazione, che si affaccia in tutti questi film senza mai offrire vere coordinate narrative (anzi sparigliandole volontariamente) ma come un sottofondo di "politicità indistinta" che fa da campanello d'allarme e contemporaneamente da chiamata alle armi per il cambiamento dell'umanità. Sì perché se Cronenberg del futuro ha paura, è altrettanto evidente che ne è affascinato. Che dietro ogni cautionary tale paranoica si nasconde l'eccitamento di un racconto erotico (La Mosca, Crash) e viceversa.
Così anche il personaggio della stupenda Diane Kruger diventa chiave fondamentale per capire il cinema cronenberghiano: teorie del complotto come racconti porno, "musica per organi caldi" che non vedono l'ora di sapere cosa ci inventeremo domani.