Dopo i molteplici annunci che lo volevano deciso ad abbandonare il mondo del cinema, Steven Soderbergh torna nelle sale rigenerato, pieno della voglia di girare che aveva smarrito, a suo dire, all’inizio dei ‘10. Se nel 2017 dirige e produce La truffa dei Logan, nuovo take sui caper movie di cui l’autore è un vero maestro, con Unsane il regista decide di tornare al thriller psicologico già esplorato in Effetti collaterali, regalando agli spettatori un gioiello di rara caratura.

Sawyer Valentini vive nel terrore di David Strine, uomo le cui ossessive attenzioni l’avevano spinta a cambiare città. Quando Sawyer decide di esorcizzare l’esperienza parlando con una psicoterapeuta, finisce nelle grinfie di un sistema medico fraudolento, mentre l’ombra dello stalker si fa sempre più vicina.

Unsane stupisce per la sua capacità di rientrare in un genere senza aderire a stereotipi, consegnando allo spettatore un prodotto estremamente godibile che gioca con i fondamenti di un linguaggio senza stravolgerli. Gli sceneggiatori Jonathan Bernstein e James Greer costruiscono una trappola ipnotica, un gioco di specchi che rimbalza continuamente il pubblico tra il sano timore del persecutore e il mondo delle nevrosi private di Sawyer, facendo intravedere la verità tra un’oscillazione e l’altra. Lo script evita accuratamente il clichè del colpo di scena, capace di ribaltare la prospettiva dello spettatore in pochi minuti, e agisce invece per gradi, facendo emergere lentamente la corretta lettura dei fatti.

Lo stesso personaggio di Sawyer, impersonato da Claire Foy, sfugge dalla tipizzazione della protagonista nervotica e vulerabile, con un’interpretazione che alterna psicosi e lucidità, fragilità e crudele manipolazione. La messa in scena trova invece una dimensione peculiare grazie allo strumento impiegato per le riprese: l’intero film è stato infatti realizzato utilizzando unicamente un I-Phone 7. La scelta del cellulare porta alla costruzione di un look personale, che, grazie alla distorsione creata dalla lente e sapientemente sfruttata dal regista, infonde alle inquadrature una patina di uncanniness, efficace nel rafforzare l’estrema ambiguità del plot.    

Unsane costituisce un raro esempio di thriller psicologico scritto e diretto evitando i luoghi comuni del genere, un’esperienza interessante e coinvolgente che dimostra come, con un po' di creatività, si possa instillare nuova vita in un canone oberato da produzioni mediocri.