Il titolo provocatorio (Se c’è un aldilà sono fottuto. Vita e cinema di Claudio Caligari) del bellissimo film di Simone Isola (produttore) e Fausto Trombetta (giornalista) sul cinema e la vita di Claudio Caligari nasce da un confronto con Valerio Mastandrea, grande amico oltreché attore consacrato nella sua immagine di “faccia proletaria” da uno dei film del regista piemontese. Se c’è un aldilà sono fottuto era una frase di Caligari riportata nella lettera a Martin Scorsese, che Mastandrea inviò alla stampa nel 2014 per denunciare le difficoltà del regista a produrre i suoi film, e per aiutarlo a finanziare e promuovere quello che poi sarebbe stato il suo ultimo lungo, Non essere cattivo (2015).

Il canto del cigno di un autore da molti ritenuto “maledetto”, ma in realtà pienamente realizzato grazie alla sua determinata intransigenza a girare solo un certo tipo di film. Caligari infatti rifiutò sempre le lusinghe di un cinema più spiccatamente commerciale, restando fedele ad una forma di rappresentazione lucida, dai contenuti crudi, allergica ai compromessi, un cinema che nasceva dal cosiddetto pedinamento e dallo studio prolungato di ambienti e realtà ritenute marginali dai più. Il cinema della restituzione del vero, un cinema pasoliniano e desetiano nel midollo. Un cinema onesto e veritiero, e per ciò stesso, parco.

Caligari girò “solo” tre lunghi, Amore tossico nel 1983, quindici anni dopo nel 1998 L’odore della notte e nel 2015, poco prima di spegnersi per un brutto male, Non essere cattivo. Questo documentario nasce come una esigenza irrevocabile (il progetto fu avviato nel 2017), per rendere onore a questa figura d’autore con la “A” maiuscola, e si sviluppa nella forma di un film che attraversa lo spazio ed il tempo, riportando i vecchi protagonisti della prima pellicola di Caligari sui luoghi di Ostia che fecero da inedita location per quella storia di emarginazione. Le immagini dei film scorrono parallelamente a quelle del documentario, ricalcando scene e inquadrature del maestro, come a voler omaggiare il suo punto di vista sempre originale e precorritore di tempi, temi e stili.

Se c’è un aldilà sono fottuto offre una interessantissima declinazione del classico film nel film, grazie all’uso in contemporanea di più piani narrativi, la narrazione della vita del regista (con le testimonianze dei suoi collaboratori, della anziana madre Adelina, dell’amico Mastandrea, degli attori Marinelli e Borghi), che si intreccia a quella contenuta nei film girati, e si accavalla pure a saporitissimi frame del backstage girato durante le riprese di Non essere cattivo. Scopriamo così che sul set, il primo giorno di riprese, Caligari mostrava segni di insofferenza per gli attori Marinelli e Borghi, era visibilmente teso. Il film si apriva con una auto-citazione di Amore tossico e la scena del gelato e i due attori non erano quelli del passato. Mastandrea percepì il disagio del regista e lo rassicurò “Aò e mica so’ tutti come me” , Caligari ribatté con un laconico “È vero” e da quel momento si acclimatò.

Michela Mioni, la protagonista di Amore tossico, ricorda che durante le riprese alle otto del mattino arrivava sul set il medico di Marco Ferreri (il regista era divenuto un vero e proprio sponsor del film) distribuendo il metadone a tutti i tossici, per scoraggiare il consumo di sostanze stupefacenti e anche per evitare che scappassero gli attori (scelti tra i tossicodipendenti del Sert di Roma). Una volta capitò addirittura che girando la scena della rapina, gli attori furono acchiappati per davvero dalla polizia in borghese e tradotti in questura. I poliziotti non avevano creduto che fossero attori. Ferreri dichiarò: “avrei voluto farlo io quel film, ma siccome ormai lo girava Caligari, gli diedi una mano per finirlo”. Il maestro aveva scelto Caligari come suo discepolo ideale, lo aiutò nella promozione del film a Venezia, inscenando insieme a Tatti Sanguineti una farsa “da canile” durante la conferenza stampa di presentazione. Ferreri diede dello stronzo a Sanguineti che eccepiva sulla qualità del sonoro e il maestro lo rimbrottò: “In questo film non c’è suono, è l’intuizione principale del regista, cretino!”. Avrebbe poi detto a Caligari dopo Venezia, “hai sfondato ora sarà tutto in discesa” e invece fu esattamente il contrario.

Eppure Amore tossico non fu un film che passò inosservato, raccolse premi (1983 Premio speciale a Venezia, al festival di Valencia e Migliore interprete femminile al Festival di San Sebastian) e suscitò grande interesse tra i critici. Tanto che gli fu dedicata una puntata della trasmissione di Rai Tre Processo al film condotta da Ugo Pirro, durante la quale toccò al “socio” di Sanguineti stavolta, il critico e studioso Alberto Farassino, vestire i panni dell’accusa, non avendo apprezzato troppo il film. Farassino rimproverava a Caligari il fatto di aver girato il primo film sulla droga scegliendo la via del dramma anziché del documentario “noiosamente televisivo”, autoproclamandosi discepolo di Pasolini (per il discorso sulle borgate romane), ma peccando, per il critico, di onestà intellettuale: “è un tipo di rappresentazione che non è reale, ma fa vedere gli aghi che entrano in vena, è come una forma di pornografia”. E condannava il seguace di Pasolini a rivedere Accattone per molte e molte volte per meglio intendere la lezione neorealista.

Con il secondo lungometraggio L’odore della notte Caligari torna a parlare di un altro mondo ai margini. Da autentico amante del cinema francese, traspone nella pellicola “una luce livida che raggela la scena”, sceglie attori vicini ai personaggi anche nella vita reale e soprattutto che fossero anche agli inizi della loro carriera, per non inquinarne l’aspetto con accenti borghesi o divistici. Emanuel Bevilacqua (il rozzo) è un attore preso dalla strada, il giovane Mastandrea gli ricorda un po’ Delon e Belmondo, non ho più ritrovato quel senso del cinema che c’era sul set di L’odore della notte, tutto girato di notte, al freddo al buio. Il mio personaggio quando faceva le rapine diceva ‘un po’ di roba per me era un gesto politico (in quegli anni di espropri, di bande armate)”.

Lo stesso capitò a Luca Marinelli, scelto per Non essere cattivo ancora fresco di Accademia, come ha ricordato l’attore nell’incontro con il pubblico in Cineteca a Bologna: “Fui contattato da Valerio Mastandrea e quando lessi la sceneggiatura, che era fantastica, avevo il fiatone arrivato alle ultime pagine. Poi al primo incontro con Claudio, direttamente in azione, io dovevo fare la parte di Vittorio e ci fu un ribaltamento dei ruoli, mi disse di cambiarmi con Cesare … ‘ci sono 5 cambi nella scena, trovali’. Una volta sul set mentre giravamo lui disse qualcosa del tipo “non dovete avere paura” e io rimasi basito...scoppiai a piangere, perché detto da una persona nelle sue condizioni mi fece un certo effetto. Dunque come uomo mi ha insegnato a non avere paura. Come attore mi ha fatto una specie di “fatality”...sul set io ogni tanto gli facevo delle domande sul personaggio...c’era questa scena dove Cesare consola la mamma dicendo non ti preoccupare tu dai le medicine che devi dare alla bambina e non succederà nulla, io andai da Claudio e dissi, penso che lui è un po’ arrabbiato è infastidito da questa cosa, non gli va, gli sta sulle balle la mamma che sta male...e lui stette un po’ in silenzio e poi mi disse, se Cesare pensasse così sarebbe un idiota”.

L’aneddoto di Marinelli si presta a chiudere perfettamente il cerchio della commemorazione di un autore che “non fu mai prodigo di parole, aveva un linguaggio asciutto, secco, le sue parole erano pesate”, “uno che voleva vivere per conto suo, un solitario, sempre con questi occhiali scuri”, un uomo di cinema capace di vivere con un rigore monastico nel risparmio e nella morigeratezza, che però, se gli chiedevi di parlare di cinema, aveva tutto un mondo dentro che i posteri rimpiangeranno sempre di non poter esplorare. “Muoio come uno stronzo e ho fatto solo tre film”, disse all’amico Valerio, ma in mezzo a quei tre film ne restano almeno 30 che non ha mai fatto e che speriamo tutti di poter almeno leggere un giorno sulla carta stampata di una sceneggiatura.