Verso la fine del suo incubo in tempo reale, col treno di mezzogiorno che ricongiungerà Frank Miller e la sua banda ormai pericolosamente vicino, Will Kane (Gary Cooper) per poco non inciampa in un gruppo di bambini del villaggio che giocano ai pistoleri, e origlia un brano della loro recita: sono i banditi di Frank Miller, Colt in pugno, pronti a spacciare lo sceriffo Will Kane. Ancora scosso è accolto in casa del suo mentore, l'uomo che tanti anni prima gli aveva consegnato la stella, e nel chiedergli aiuto - un aiuto che anche stavolta non verrà - torna a sua volta bambino, quando i bambini tifavano per i buoni: "as a kid I wanted to be just like you". La risposta del vecchio marshal a una simile crisi di esemplarità eroica ha sapore di sentenza. Farsi sparare, e per cosa? Per un pezzo di latta?

È questa disillusione la principale scoperta di chi rivisita oggi Mezzogiorno di fuoco, film mitico quasi suo malgrado, che inganna col titolo ormai proverbiale e i credits blasonati chi si aspetta di trovarvi western distillato, quasi cartoonesco nella sua solidità morale. Perfino in chi l'ha già visto e conosce gli strali lanciati da certa Hollywood contro il suo spietato ritratto della Frontiera, l'aura sinistrorsa di allegoria sulla caccia alle streghe maccartista, può ancora sorgere la tentazione di pervertirne il ricordo in senso epico, facendone magari un grande film civile liberal, un La parola ai giurati in salsa western, dove il vettore eroismo cambia direzione ma non intensità.

Invece, quella di Will Kane resta la più formidabile figura di inetto del West cinematografico, eroe "pronto a morire" ma anche emblema di un'inefficienza, mollezza, incoerenza, decadimento fisico, nonché virilità insolitamente gentile e remissiva, che ai puristi del genere piacquero e tuttora piacciono pochissimo. Esattamente il personaggio che ci aspetteremmo dall'incontro fra "Coop" e Zinnemann, il più vulnerabile divo della Hollywood classica e il regista dell'identità sconvolta, messa a repentaglio, schiacciata dalla pressione della Storia, di un abito talare o di una divisa, ritrattista di personaggi che cercano disperatamente (non sempre riuscendoci) di essere Un uomo per tutte le stagioni.

Kane è anche il perfetto figlio di un'epoca di revisione già incipiente, gli anni '50 in cui le fondamenta ideologiche del genere scricchiolano sempre più pericolosamente, gli uomini tutti d'un pezzo sono un ricordo e quelli che rimangono fanno spesso più paura dei cattivi. Non bestiale come i personaggi di Mann né antieroico come quelli di Boetticher, il miglior termine di paragone per lui è forse il pavido Dan Evans di Quel treno per Yuma (1957, di Delmer Daves), come High Noon film segnato dal ticchettìo delle lancette degli orologi come simboli quasi metafisici di sospensione purgatoriale, con l'unità di tempo e azione a rendere snervante e palpabile l'impasse morale e l’impotenza del protagonista. Se dovessimo scommettere su cosa di High Noon fece uscire più dai gangheri Howard Hawks e John Wayne, peggio ancora dell'indifferenza della comunità o dello sceriffo salvato da una donna, punteremmo su questa atmosfera insopportabilmente smorta e monotona che è l'antitesi esatta dell'ariosità dell'avventura western, l'eroe dagli occhi azzurri ridotto a mendicante da parabola biblica che passa metà film andando di porta in porta a supplicare aiuto.

Eppure quel deserto ha dato i suoi frutti, e quegli orologi che tenevano il tempo al cuore sempre più stanco della leggenda hanno contribuito in un certo senso alla sua sopravvivenza. Nella sua messa in discussione del mito della Frontiera il film di Zinnemann non ha solo distrutto, ma anche aperto spazi di riflessione, acceso una scintilla di auto-consapevolezza astratta e in nuce già postmoderna, che è tornata periodicamente a brillare nelle rielaborazioni successive dell'epopea western: basta vedere quanto abbia influenzato Leone, che oltre a rubargli l'incipit di C'era una volta il West e la faccia memorabile di Lee Van Cleef sembra averne attinto a piene mani per l'atmosfera "fuori dal tempo" della Trilogia del Dollaro, oppure Clint Eastwood, che dopo aver ripetuto il gesto finale di Kane gettando via il distintivo in Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo! è tornato continuamente a rivisitarne il conflitto ormai topico con la comunità ostile e corrotta. Uscendo di scena indignato, ormai quasi settant’anni fa, lo sceriffo di Hadleyville ha lasciato un vuoto che continua a parlare.