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Dissidente, critico e organico: Gutiérrez Alea e la rivoluzione cubana
Alla mutevolezza della sua parabola artistica e politica si oppone la persistenza dell’indagine sociale nei suoi lavori, dettata da uno sguardo costantemente critico e dal frequente utilizzo della satira, diretta anche nei confronti del regime rivoluzionario cubano: non a caso, si autodefinì “un uomo che pone critiche all’interno della rivoluzione, al fine di migliorarne il processo e non di distruggerla”. Sta qui il dato eccezionale di Gutiérrez, cioè la capacità di mantenere aperti gli spazi di critica e satira artistica anche nella peculiare situazione dello Stato castrista: aspetto che emerge con forza dalla visione de La morte di un burocrata, dove gli attacchi alle storture del meccanismo statale e all’apparato propagandistico vengono espressi senza metafore. Sarebbe decisamente ingiusto limitare l’analisi del film del 1968 esclusivamente al suo contenuto politico, dal momento che La morte di un burocrata esibisce in controluce il tratto rivoluzionario presente anche nello stile di Gutiérrez, ora quanto mai distante dal neorealismo e debitore degli influssi di un certo cinema europeo a lui contemporaneo (su tutti, Buñuel e Bergman). Tuttavia, risulta sorprendente pensare a una tale libertà espressiva in un contesto totalitario.
“La muerte de un burocrata” a Venezia Classici 2019
La muerte de un burocrata è uno dei gioielli del cinema cubano, un film in cui si ride molto, ma lo si fa in maniera intelligente e con un tocco di amarezza. La forte critica satirica alla società cubana post rivoluzionaria proviene da esperienze personali dell’autore: “Ho deciso di realizzare il film per esperienza personale. Può succedere a chiunque. Sono stato improvvisamente catturato nei labirinti della burocrazia da alcuni problemi molto semplici ed elementari che volevo risolvere. Ho perso molto tempo e ho deciso di rendere giustizia con le mie mani…”. Così come l’ironia verso l’arte al servizio della rivoluzione può essere letta come critica a quei compagni dell’Instituto Cubano del Arte y la Industria Cinematográfica con i quali il regista era in aperta polemica perché, secondo lui, colpevoli di aver perso di vista un certo tipo di valori cinematografici per dedicarsi a un cinema schematico e fondamentalmente propagandistico.